il foglio della moda

Il telero meraviglioso dei nostri scarti

Viola Donati

Sarà una Biennale d’Arte molto “tessile”, quella che sta per aprire attorno al tema delle migrazioni e del sentirsi cittadino del mondo e di nessuna terra. Ecco alcuni dei progetti che ne fanno parte

L’opera che vedete riprodotta in apertura dell'articolo si intitola “Come un manto per le lucciole”: nome poetico per un arazzo realizzato con un intreccio di tessuti di recupero su rete industriale lungo sette metri e alto un metro e venti centimetri. A questo grande cielo di stracci, traslazione artistica degli scarti dei nostri guardaroba, commissionata da McArthurGlen Noventa di Piave Designer outlet, ha lavorato per mesi una delle maggiori artiste italiane, Olimpia Biasi, allieva dei maestri dello Spazialismo Edmondo Bacci e Luciano Gaspari, alle spalle tre presenze ad altrettante Biennali d’Arte di cui l’ultima nel 2019 oltre a una serie pressoché infinita di personali in tutto il mondo dal 1972 ad oggi.

Nella sua lunga carriera, ha realizzato più volte teleri, benché proprio questo, che da oggi è esposto nel foyer del Teatro Goldoni di Venezia ed entro l’anno verrà esposto negli altri due teatri dello Stabile del Veneto, il Verdi di Padova e il Mario del Monaco di Treviso, sia il primo che si forma e si compone, che rigenera e ridà bellezza a quello che migliaia di persone hanno scelto di buttare.

Sarà una Biennale d’Arte molto “tessile”, quella che sta per aprire attorno al tema delle migrazioni e del sentirsi cittadino del mondo e di nessuna terra, ed è dunque perfettamente logico, lineare, che questa kermesse sia intessuta di fili, ricca di intrecci e di mani femminili. Ne è un altro esempio il progetto “Cosmic Garden”, curato da Maria Alicata e Paola Ugolini, che sarà aperto dal 20 Aprile al Salone Verde – Art&Social Club, un omaggio al pluralismo artistico indiano che si articola in una serie di dipinti e sculture degli artisti indiani Madvhi Parekh e Manu Parekh, e nella loro metamorfosi in un ulteriore mezzo espressivo interdisciplinare, il ricamo, attraverso le opere create da Karishma Swali, direttrice creativa della Fondazione Chanakya, e dagli artigiani della Chanakya School of Craft, un istituto non-profit impegnato nel favorire l'emancipazione sociale delle donne attraverso l'artigianato che da molti anni ha una grande sede anche a Bologna e che moltissimi appassionati di moda conoscono pur non avendola mai visitata perché molti dei progetti allestitivi delle sfilate di Dior, e moltissimi progetti speciali, escono dai laboratori di questa fondazione che, racconta Karishma Swali in collegamento da Mumbai, quest’anno festeggia i quarant’anni e da oltre venti collabora con Maria Grazia Chiuri, oltre a rappresentare un esempio imprenditoriale importante nel trattamento sostenibile dei filati e dei tessili in un Paese come l’India che, insieme con la Cina e gli Stati Uniti, è responsabile di oltre la metà delle emissioni di Co2 e che l’uso delle tinture a base di metalli nella produzione di abbigliamento è ancora molto diffusa: “In realtà, la tradizione tessile indiana è legata alla natura e all’uso responsabile delle piante per la colorazione dei tessuti dai tempi in cui iniziammo ad esportare l’indaco in Europa”, dice, senza sapere certamente che l’arrivo di questo colorante a basso costo nel XVI secolo mandò sul lastrico l’industria del guado, cambiando per sempre anche la definizione e la percezione occidentale dei colori: “Le soluzioni ecologiche ci sono, sono disponibili e nemmeno costose. Basta adottarle di nuovo”, dichiara, con quell’approccio al tempo stesso pragmatico e idealistico adottato anche da Biasi e da Annamaria Orsini, curatrice del progetto di questo “manto” artistico e simbolico, chiaramente ispirato a quello delle Vergini “venete” di Bellini e di Cima da Conegliano: “Questo telero”, puntualizza, “si genera da una visione “curativa” della natura e dalla volontà di riprendere contatto con un gesto antico come la tessitura”.

Le migliaia di strisce di stoffa sulle quali Biasi ha lavorato nella sua casa-giardino di Lovadina, provengono a loro volta da un progetto di tutela e rigenerazione degli scarti promossa da anni da McArthurGlen, “Recycle your fashion”, che attraverso un accordo con una società specializzata, nei suoi centri raccoglie, suddivide, reindirizza e recupera migliaia di indumenti: “Un investimento importante e impegnativo”, racconta Daniela Bricola, general manager del centro e grande esperta di modelli e comportamenti di acquisto, “che però riteniamo fondamentale in un modello che, come il nostro, porta già inscritto nella propria natura la salvaguardia e la durata d’uso di quanto indossiamo”. Il progetto del manto, racconta, si inserisce fra le iniziative di #backtoart, di restituzione al territorio, con cui il gruppo “coniuga valorizzazione artistica e consapevolezza ambientale: un modo per convogliare nel nostro mondo fatto di manodopera e commercio l’energia e il potere rigenerativo dell’arte per restituire la bellezza in una forma nuova”.

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