Il Foglio Weekend

Tutta l'arte del Cav, dalle televendite all'hangar

Michele Masneri

Berlusconi  e i suoi 25 mila quadri. Parla il curatore della Quadreria di Arcore

E’ stato curatore della raccolta d’arte di Silvio Berlusconi, il famoso “hangar”, che contiene venticinquemila quadri che il defunto Cav. collezionava chiamando non i migliori galleristi di New York bensì le televendite bresciane notturne (immagine questa, di B. che telefona nottetempo ai centralini di Telemarket, che vale più di tutti i film e i saggi che son stati fatti su du lui). Se Miuccia Prada si è costruita la sua Fondazione, e Tronchetti il Pirelli Hangar, e qualunque bilionario in giro per il mondo si apre il suo museo disegnato da archistar, qui siamo in un altro tipo di hangar.

 

La dicitura esatta è “Quadreria di Villa San Martino”.  “Per l’esattezza, Quadreria di villa San Martino dal 1970”, dice al Foglio Lucas Vianini, trentasettenne che ora gestisce una galleria d’arte a Salò sul Lago di Garda, e che per due anni e mezzo è stato protagonista di quell’avventura veramente da film: curatore del Louvre berlusconiano. Perché 1970? “Era l’anno in cui ha cominciato ad acquistare opere d’arte, anche se non so se fosse proprio quello, ma al Presidente piacevano le cifre tonde”, risponde Vianini, per iscritto, alimentando ancora più il thriller di questa storia. 

 

Il logo “Quadreria di villa San Martino dal 1970” appariva anche sui famosi pacchi in cui erano incartati i quadri che Berlusconi inviava ad amici e leader internazionali, come ha raccontato a Repubblica. C’era tutta una filiera insomma. “Una tipografia  provvedeva a tutto”. Anche se Vianini non a villa San Martino ma in un altro epicentro del berlusconismo brianzolo risiedeva, la Villa Gernetto dove avrebbe dovuto sorgere la famosa università del liberalismo. “Sono stato per diverso tempo l’unico ‘abitante’ lì. Ovviamente in villa interveniva una folta squadra tra sicurezza, personale tecnico e giardinieri, ma come inquilino sono stato l’unico se si esclude il tasso e la variegata fauna di scoiattoli e lepri che abitavano il bosco che circonda la reggia. Poi, quando la mole di lavoro è diventata difficile da gestire, il presidente mi ha suggerito di avvalermi di un ‘braccio destro’ di mia scelta.  Ho perciò chiesto a mia sorella Jessica di affiancarsi a me. Laureata in letteratura moderna, poliglotta e con un master in critica teatrale. Da quel momento gli ‘abitanti’ di villa Gernetto sono diventati due, anzi quattro se si considerano le due enormi inseparabili Rhodesian ridgeback (cani di razza sudafricana selezionati, in antichità, per la caccia al leone) che mia sorella si portava ovunque e che ha posto come condizione per trasferirsi. Ma il presidente amava talmente gli animali che aveva acconsentito a quella richiesta bizzarra, e del resto i cani si sono comportati benissimo”.  

 

Lost in Villa Gernetto. E l’università del liberalismo? “Il presidente ne parlava spesso ma le vicende di cui doveva occuparsi nella sua intensa tabella di impegni hanno contribuito a far passare questo progetto in secondo piano”. E’ vero  che avevate pensato anche a un format televisivo ambientato proprio nella villa? “Sì, il presidente desiderava organizzare su una delle sue reti un programma tv dedicato all’arte, tuttavia questo progetto non si è mai concretizzato. Ma l’idea ogni tanto riappariva. Allora mi ero deciso a fare dei video come simulazione della trasmissione proprio da Villa Gernetto, che il Presidente considerava la sua proprietà̀ iù̀ bella. Ricordo di avergli inviato più puntate video durante un suo ricovero al San Raffaele”.

 

Prima di questa avventura romanzesca Vianini ha una vita già romanzesca di suo. “Pur essendo nato a Buenos Aires da madre ebrea, mio padre era milanese e, dopo aver vissuto molti anni in Argentina, ha deciso di tornare in Italia con la famiglia. Io e mia sorella Jessica eravamo piccoli. Dopo gli studi universitari in Italia (Venezia e Roma) e all’estero (Parigi e Gerusalemme) sono tornato sul Lago di Garda e, tra altre cose, ho fatto un provino come presentatore di opere d’arte per una emittente bresciana”. E lì il provino fu fatale. Per un po’ lavora con Alessandro Orlando, l’altro volto di Telemarket, storica tv dei “protagonisti del Novecento”. “Avevo una trasmissione tutta mia di domenica, mentre co-presentavo le opere d’arte con il signor Orlando in altre 3 trasmissioni settimanali”. Quella delle televendite d’arte, dice Vianini, è stata “un’esperienza ricca dal punto di vista umano ma anche antropologico. Ho scoperto un’Italia segreta, fatta di uomini e donne insonni, di ogni estrazione sociale ma accomunati dall’età matura, che trovavano nella televendita un diversivo, un intrattenimento, un’emozione. Molto spesso dietro agli acquisti notturni si nascondevano storie di solitudine e rassegnazione”. 


Come iniziò con questo anziano molto speciale?  “Il presidente cominciò prenotando molte opere da me presentate”. È vero che andavate ad Arcore con il camion a portargli i quadri e che ne comprava talmente tanti che avete dovuto ridurre la durata della trasmissione? “Io sono sempre andato con la mia automobile privata, in quanto non sono mai stato un fornitore del Presidente, ma l’esperto in grado di commentare i dipinti. A volte, quando lui prenotava la visione di lotti di dipinti, potevano sopraggiungere dei camion dei vari venditori”, dice Vianini. “E spesso rischiavamo di dover chiudere il programma prima del tempo perché Berlusconi aveva prenotato tutte le opere”. Secondo lei perché un uomo ricco e potente come Berlusconi, che poteva comprare dai migliori galleristi del mondo, si rivolgeva invece alle televendite? “Me lo sono chiesto molte volte, poi frequentandolo ho compreso. Berlusconi era un uomo del popolo, non aveva nessuna altezzosità o snobismo. Per lui non c’era nessun problema nel contattare un’emittente tv come fosse un cittadino qualunque”. Ne guardava anche altre o solo la vostra? “La passione per le televendite era trasversale, nel senso che ne aveva contattate molte altre. Tuttavia ha ritenuto di scegliere me per curare la sua collezione, a dispetto del fatto che molti presentatori dell’entourage napoletano si fossero offerti di occuparsi della sua collezione a titolo – a loro dire – gratuito”. Già, perché quando si sparge la notizia di Berlusconi famelico acquirente notturno pare che nel napoletano nasca dall’oggi al domani un distretto di improvvisati telemercanti d’arte, che a volte trasmettono dal garage di casa... Invece lei aveva un buono stipendio? “Ottimo”, dice Vianini.

 

Ha detto che B. voleva diventare il primo collezionista del mondo. “È vero, il presidente, quando si imbatteva in qualunque tipo di impresa, desiderava fare le cose in grande stile”. E a proposito di stile le dava consigli televisivi? “Ci teneva a vedere tanti quadri, e non apprezzava esegesi critiche lunghe. Pertanto mi ha consigliato di velocizzare la presentazione, concentrarmi sull’aneddotica di effetto e nel contempo di rendere la regia più dinamica. Diceva che i miei punti di forza erano la padronanza del linguaggio, la competenza della materia e la telegenia, ma che dovevo essere più incisivo”. So che le ha consigliato anche dei cambiamenti. “Effettivamente il presidente non apprezzava né barba né tatuaggi. Di tatuaggi non ne ho mai avuti, ma la barba sì, anche se per periodi brevi. Mi è sembrato corretto adottare un look idoneo all’ambiente e alla mansione affidatami: capelli sempre in ordine, barba rasata, camicia bianca, cravatta Damiano Presta e completo blu”. Le ha mai proposto di scendere in campo? “Sì, più volte, mi aveva riferito l’intenzione di propormi per diventare il referente dei Beni Culturali per Forza Italia. Voleva dare un’impronta più culturale al partito. Anche in questo caso non c’è stato probabilmente il tempo; sarebbe stato interessante sperimentarsi a quel livello anche se non so come sarei stato recepito dai ‘pezzi grossi’ del partito”.

 

So che lei però politicamente non è berlusconiano. “Posso dire questo: ho sempre mantenuto le mie idee politiche confrontandole anche con il presidente e trovando il modo di evolverle. Lui non cercava di forzare il credo di nessuno. In questo si è dimostrato un vero liberale”. E Francesca Pascale la vedeva? “È sempre stata una mia alleata, una donna schietta che non si è mai fatta forte della posizione di privilegio in cui si trovava. E’ soprattutto una grande anticonformista, con idee radicali, che difende e ha saputo difendere con determinazione anche nel confronto con il Presidente”. E che ne pensava di questi suoi acquisti notturni? “Francesca non sosteneva particolarmente questa passione del Presidente, ma neppure la ostacolava, anche perché avevano gusti artistici diversi. Lui prediligeva l’antico e classico, mentre Francesca è più attratta all’arte contemporanea e in particolare dalla Pop Art”.  E Marta Fascina l’ha conosciuta? Nelle stories si vede che lei ha frequentato molto Villa San Martino. “Si ho conosciuto la signora Fascina. Il presidente è sempre stato molto accogliente nei miei confronti, e mi invitava spesso a pranzo o a cena a Villa San Martino dove, dopo la rottura con Francesca, la signora Fascina viveva”.  Fascina che ne pensava della collezione di Berlusconi?  “La signora Fascina appoggiava ogni scelta del presidente”. 

 

Tornando indietro, quale quadro ha attirato l’attenzione di Berlusconi all’inizio?  “Era un’immagine devozionale di Maria con il Bambinello. Un’opera di grande dolcezza attribuita ad un artista fiammingo del XVII secolo”. E qual era l’opera preferita del Cav.?  “Amava un quadro dedicato al mito di Selene ed Endimione. Il mito raccontava dell’amore che la dea della Luna Selene nutriva nei confronti di un giovane pastore mortale di nome Endimione. Essendo l’amato destinato alla morte, Selene chiese a Zeus di renderlo immortale; quest’ultimo accontentò Selene facendo piombare Endimione in un sonno eterno capace di preservarne la bellezza. Ogni notte Selene sarebbe andata a trovare il suo amore addormentato. Ho sempre pensato che il presidente amasse l’idea dell’immortalità, forse per questa ragione prediligeva il mito dell’amore eterno. Aveva un animo sensibile, amava le vicende eroiche e le storie grandiose e poetiche”.   E’ andato al suo funerale? “No, l’ho seguito in diretta tv. Vedere il cancello di Villa San Martino aprirsi, la scorta avviarsi insieme al carro funebre, rivedere tanti volti noti, mi ha molto commosso”.  

 

Le hanno regalato qualche quadro come buonuscita? “Berlusconi amava fare doni ed era di una generosità eccezionale. Sono tuttavia fiero di non avere mai approfittato della mia posizione. Ho tuttavia accettato di buon grado quando mi ha fatto il dono di alcune cravatte che custodisco come una reliquia”. Secondo lei della Quadreria dovrebbero farne un museo? “Potrebbe essere una bella idea, sarebbe utile per comprendere la personalità del collezionista”. La famiglia pensa di farlo? “Non ne sono a conoscenza”, dice Vianini. Ma in definitiva è vero come sostiene Vittorio Sgarbi che la quadreria di Berlusconi era composta solo di “croste” senza valore?  “Sgarbi, che stimo, ha secondo me fatto un ritratto frettoloso dell’operazione Quadreria. Dal canto mio, aver studiato tutta la vita, aver preso una laurea a Venezia, una laurea di specializzazione a Roma, un master a Gerusalemme, un diploma in gemmologia a Tel Aviv e un master in diagnostica dell’arte di nuovo a Roma ed essere stato associato ad una ‘collezione di croste’ non ha certo giovato né alla mia reputazione né alla mia immagine. Il Presidente possedeva già moltissime opere di carattere museale dal valore inestimabile. L’operazione Quadreria è la realizzazione di una visione di collezionismo che può anche non essere condivisa per la sua grandiosità, ma che possiede una sua particolarità e dignità. L’idea di fondo era quella di fare una passeggiata virtuale tra i generi pittorici della storia dell’arte. Ogni opera doveva essere catalogata e suddivisa per genere pittorico. Il Presidente amava infatti l’ordine ed i numeri. Per ragioni di studio ho approfondito il Settecento, ed ho tenuto conto – nell’allestimento così come nell’approccio critico – degli apparati effimeri settecenteschi, delle scenografie teatrali, ma anche delle Wunderkammer (o camerini delle meraviglie) tedesche e financo dell’arte digitale e degli nft. Berlusconi amava molti generi pittorici, purché fossero realizzati in stile classico, dovevano prevalere l’armonia ed i colori luminosi. Amava le composizioni floreali, la ritrattistica storica con un’attenzione particolare all’epopea napoleonica, il vedutismo urbano (Venezia, Napoli e Parigi, più raramente Milano), i paesaggi verdeggianti, la pittura d’interno in stile fiammingo, la scuola di Posillipo, la pittura orientalista, la pittura battaglistica di terra e di mare, le scenette di vita partenopea e in modo particolare  la pittura mitologica”. 

 

E’ vero che il Cav. chiese prima a Sgarbi di fargli da curatore e poi dopo chiese a lei? “Anche in questo caso ho preso atto di tale affermazione ascoltando l’intervista del professor Sgarbi a Report, infatti non avevo mai sentito prima questa versione dei fatti. Dal canto mio, quando il Presidente mi ha ingaggiato, le opere erano in numero piuttosto contenuto, quello che so è che alla fine della catalogazione avevano raggiunto un numero molto più grande”. 


Ed è  vera la storia dell’invasione di tarli nell’hangar di Arcore, e che la famiglia avrebbe dato ordine di bruciare tutti i quadri? “Se è realistico che ogni collezione debba confrontarsi con problematiche legate alla conservazione di tele e cornici, ritengo tuttavia questa notizia circolante una vera e propria leggenda metropolitana, sorta, come altre del resto, intorno alla Quadreria, non appena si è cominciato a diffondere la notizia dell’esistenza”.  In definitiva lei cosa ha imparato da questa esperienza?  “Ho potuto intravedere cosa significa ‘il potere’ in varie accezioni e anche osservare le diverse modalità con cui le persone si relazionano ad esso. Tutto o quasi tutto può diventare relativo: amicizie, promesse, alleanze”.

 

Lei poi ha partecipato al reality “Matrimonio a prima vista”. Come mai? “Dopo la fine di quest’esperienza mi ero trasferito in Svizzera per curare una zia malata, che è morta un anno prima Berlusconi, lo stesso giorno, il 12 giugno, e dopo tutto ciò ho voluto mettermi in gioco accettando di partecipare a questo programma, consapevole che si sarebbe trattato di un’esperienza decisamente trash. L’intendimento del reality, di per sé già abbastanza irrealistico se non fantasioso, è quello che un gruppo di ‘esperti’ possa far trovare ‘l’anima gemella’, ovvero l’amore della propria vita ai partecipanti, sulla base di un presunto algoritmo dell’amore. Tuttavia l’esperienza si è conclusa prima del dovuto, alla sesta puntata. Sono stato espulso perchè  ho dichiarato di partecipare al programma tv anche per visibilità  (cosa di per sé ovvia, dato che ci si espone televisivamente su questioni personali e private come una relazione affettiva) ma questa semplice affermazione è stata recepita come una rivelazione scandalosa”.  E adesso progetti a per il futuro? “Continuare l’attività della mia galleria a Salò. Sto aprendo anche una pagina social “Gli amici della Medusa” con l’ausilio di un professore di storia e filosofia, Franco Manni, con il quale svilupperemo tematiche di attualità sempre in maniera anticonvenzionale e documentata”.  Aveva mai pensato di poter diventare il custode del Louvre berlusconiano? “No, ma sapevo che la tv ti dà comunque molta visibilità, e tutto può succedere”. 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).