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I cieli dorati

Dall'arrivo della Formula 1 all'anfiteatro-pianeta The Sphere, la rinascita di Las Vegas

Marco Bardazzi

In una città che era stata creata per riciclare soldi di Cosa nostra e premiare qualsiasi eccesso, l’arrivo il prossimo fine settimana del gran premio di F1 segna un punto di svolta, la consacrazione di un’altra nuova vita per la località più pazza d’America. Tra casinò, sport, musica

La Ferrari di Charles Leclerc che corre sulla Strip sarebbe piaciuta a Bugsy Siegel, il mafioso visionario che ha inventato Las Vegas. In una città che era stata creata per riciclare soldi di Cosa nostra e premiare qualsiasi eccesso, l’arrivo il prossimo fine settimana della Formula 1 segna un punto di svolta, la consacrazione di un’altra nuova vita per la località più pazza d’America. Un picco che segue l’ennesima crisi, una rinascita che smentisce chi la voleva morta dopo il Covid e dopo una drammatica strage nel 2017.

Las Vegas non finisce mai di stupire. Il Gran Premio del “tutto esaurito” e dei prezzi folli che la rimetterà nei prossimi giorni al centro dell’attenzione globale conferma la regola. La capitale dei gangster, della prostituzione e del gioco d’azzardo, la città dove erano di casa Elvis Presley e Frank Sinatra, la mecca degli amanti del rischio e dell’alcol, è tornata al suo splendore trasformata in epicentro dello sport e dello spettacolo. La F1 che arriva con un contratto che durerà dieci anni è solo l’ultimo regalo che si è fatta Las Vegas, dopo aver inaugurato a settembre il sorprendente The Sphere, l’anfiteatro a forma di pianeta luminoso che da settimane riempie di foto e video le timeline di Instagram e TikTok, e dopo aver conquistato una fetta importante dello sport professionistico americano. 

A febbraio si disputerà qui il Super Bowl, l’evento televisivo dell’anno negli Usa, ospitato nel nuovissimo Allegiant Stadium da due miliardi di dollari dove giocano i Raiders, la squadra di football che Las Vegas ha portato via da Oakland, in California. Lo storico albergo-casinò Tropicana sta per essere raso al suolo per dar spazio a un altro stadio che tra breve sarà la casa degli Athletics, celebre squadra di baseball scippata anche in questo caso a Oakland. Se si aggiungono i Vegas Golden Nights, la più forte squadra americana di hockey del momento, si completa il quadro di una Las Vegas che nello sport regge il passo con i principi sauditi e gli emiri del Qatar o di Dubai. Gli effetti della rinascita si vedono già nei conti dei casinò e dei grandi alberghi di lusso. Lo scorso anno Las Vegas ha ospitato 39 milioni di visitatori, superando metropoli come Chicago, e il totale degli incassi del gioco d’azzardo lungo la Strip, la più celebre arteria della città, è stato di 8,3 miliardi di dollari: il 25 per cento in più rispetto agli anni pre-pandemia. Record che sembrano destinati a essere battuti in un 2023 in cui l’ex “città del peccato” del Nevada ha inaugurato una moltitudine di luoghi di attrazione per famiglie e turisti stranieri. Primo tra tutti The Sphere, l’edificio sferico più grande al mondo, battezzato da un fantasmagorico concerto degli U2 e da settimane al centro dell’attenzione per i suoi effetti speciali mozzafiato. 

 

La sfera alta 110 metri e con un diametro di 157 metri è un auditorium coperto da un milione di schermi LED, con all’interno il più grande maxischermo mai costruito. Un luogo che offre esperienze immersive senza precedenti, che da settembre fanno da sfondo a concerti che non avevano mai sperimentato questo tipo di set. I 54 mila metri quadri della superficie esterna dominano oggi la Strip e si trasformano continuamente, bloccando spesso il traffico perché gli automobilisti si fermano a fare foto con gli smartphone, per riprendere quello che in un momento è un gigantesco occhio e un istante dopo diventa un pianeta piombato in mezzo a Las Vegas o un planisfero rotante.

Un cambio di passo notevole per una città data più volte per morta o in profonda crisi nel corso dei decenni. Il fondo era stato toccato nell’ottobre 2017 quando un giocatore d’azzardo sessantenne, Stephen Paddock, si era blindato in una suite al trentaduesimo piano del lussuoso Mandalay Bay e da lassù aveva scatenato l’inferno. Armato di un arsenale impressionante, aveva sparato sulla folla della Strip uccidendo 60 persone e provocando quasi novecento tra feriti d’arma da fuoco e contusi nella calca, prima di togliersi la vita senza lasciare spiegazioni per il suo gesto. Poi era arrivato il Covid e Las Vegas ne aveva risentito molto più di qualsiasi altra città degli Usa: il deserto ai tavoli da gioco l’aveva privata della fonte principale della propria economia. 

Adesso che in un anno, il 2022, i giocatori di blackjack hanno perso collettivamente un miliardo di dollari a Las Vegas (la seconda cifra record di sempre in città), i proprietari dei casinò sono tornati a sorridere. E con loro tutto l’apparato amministrativo e politico del Nevada, che sta in piedi grazie alla passione per l’azzardo. Una realtà che ha un peso non secondario nella vita politica degli Stati Uniti, visto che il Nevada è uno degli stati-chiave della corsa alla Casa Bianca. Nel 2020 Joe Biden se lo è aggiudicato per un soffio ed è stata una delle vittorie decisive per sconfiggere Donald Trump. Adesso, secondo gli ultimi sondaggi del New York Times, l’ex presidente è invece in testa di dieci punti su Biden nello stato dove sorge Las Vegas. Con un governatore repubblicano, due senatori democratici e una delegazione di deputati a Washington fatta di tre democratici e un repubblicano, il Nevada oscilla continuamente tra i due partiti ed è un luogo dove i candidati alla Casa Bianca si faranno vedere spesso nell’anno elettorale. 

“Quello che succede a Vegas, resta a Vegas”, è la celebre frase con cui la città promette di mantenere da sempre segreti e peccati di chi la visita e di nascondere magari un matrimonio celebrato in fretta e sotto l’effetto dell’alcol in una delle tante cappelle locali, specializzate in cerimonie nuziali-lampo. In realtà, quello che accade a Vegas – gli americani la chiamano quasi sempre così, senza il “Las” – è visibilissimo a tutti ed è importante nella politica, nell’economia e nella cultura americani.  

E’ così da quando la città è stata inventata in mezzo al nulla nel deserto del Mojave. Agli inizi, nel 1905, era poco più che un punto di sosta per la ferrovia Union Pacific e per molti anni è rimasta un villaggio. Poi, nel pieno della Grande Depressione, era cambiato tutto. Nel 1931, per cercare nuove fonti di guadagno, le autorità locali avevano legalizzato il gioco d’azzardo e offerto la possibilità di divorziare legalmente a chi si stabiliva da quelle parte per almeno sei settimane. Nel frattempo, non lontano da Las Vegas era cominciata la costruzione della grande diga Hoover ed erano arrivate frotte di operai con le loro famiglie. 

Poi era finito il Proibizionismo, i gangster di mezza America si erano messi alla ricerca di nuovi business che sostituissero quello dell’alcol e avevano messo gli occhi sul gioco d’azzardo. Ma bisogna aspettare i primi anni Quaranta per veder arrivare il vero protagonista del decollo di Las Vegas: Bugsy Siegel, un ex killer che da giovane lavorava per Lucky Luciano ed era amico di Al Capone, dotato del pallino degli affari e con l’approccio da grande imprenditore. Cresciuto a Brooklyn, diventato esponente di punta della mafia ebrea della città e capace di legare bene con Cosa nostra italiana, Siegel era stato tra i creatori della Commissione che si spartiva le attività mafiose sul territorio statunitense e aveva persino creato una sorta di brand del crimine, “Murder, Inc”. Quando l’aria si era fatta pesante per lui a New York, si era trasferito a Hollywood diventando un personaggio pubblico, sempre elegantissimo nei party notturni del mondo del cinema, dove i suoi migliori amici erano Cary Grant, Clark Gable e Gary Cooper. Da Los Angeles aveva infine messo gli occhi sull’allora ancora insignificante Las Vegas, decidendo che era il posto ideale per costruire un’industria del gioco d’azzardo che servisse anche a riciclare i soldi della malavita. 

Con la sua eleganza e mondanità, Siegel aveva dato l’impronta definitiva alla nuova “sin city” nel deserto. I giornali lo seguivano con la frenesia che poco tempo prima avevano dedicato ad Al Capone. Siegel, abituato al mondo dello spettacolo, sapeva come attirare la loro attenzione. Quando aprì il suo primo casinò, The Flamingo (il fenicottero), spiegò che il nome era dedicato alla sua fidanzata del momento, l’attrice Virginia Hill, celebre per le lunghe gambe. L’amore tra Siegel e Hollywood del resto è durato nel tempo. Il mondo del cinema nel 1991 gli dedicò un film, “Bugsy”, con Warren Beatty nei panni del gangster e Annette Bening in quelli di Virginia, impegnati a costruire il Flamingo e in pratica a inventare Las Vegas. In precedenza, Francis Ford Coppola e Mario Puzo lo avevano a loro volta celebrato nel “Padrino”, inventando il boss ebreo dei casinò del Nevada Moe Greene, che era evidentemente ispirato a Siegel. Un personaggio che finirà ucciso dalla famiglia Corleone, più o meno come era accaduto al Bugsy originale, ammazzato da un sicario mentre era nella sua villa a Beverly Hills.  

Scomparso Siegel, la mafia aveva mantenuto comunque per lungo tempo un ampio controllo sul gioco d’azzardo a Las Vegas, mentre la città si espandeva e nascevano i più svariati casinò lungo una highway che nel tempo venne ribattezzata The Strip. In realtà, allora come oggi, la Strip è formalmente fuori dal territorio comunale di Las Vegas e attraversa una zona lasciata volutamente poco definita dal punto di vista amministrativo, per renderla una sorta di paradiso fiscale dove non sia sa bene chi dovrebbe raccogliere le tasse locali (con il risultato che molti alberghi e casinò evitano di pagarle). 

Negli anni Cinquanta i locali di Las Vegas divennero un’attrazione nazionale, anche grazie alla visibilità che ricevevano dai personaggi del mondo dello spettacolo che andavano in Nevada a esibirsi, ubriacarsi, sposarsi, ma anche a divorziare e giocare d’azzardo. Era l’epoca del celebre “Rat Pack”, il gruppo informale di intrattenitori del quale nel corso del tempo fecero parte personaggi come Humphrey Bogart e Frank Sinatra, Dean Martin e Sammy Davis Jr. L’americano medio li vedeva divertirsi nelle foto sui rotocalchi e appena poteva correva a Las Vegas, per mescolarsi ai ricchi e famosi e per perdere insieme a loro migliaia di dollari alla roulette e alle slot machine.  L’afflusso di montagne di soldi portò negli anni Sessanta e Settanta al boom di costruzioni di mega hotel con casinò sulla Strip, dal Caesars Palace al Grand Hotel MGM e al Mirage. Luoghi in cui rimase intrappolato come un fenomeno da baraccone Elvis Presley, che tra i film della propria carriera di attore aveva “Viva Las Vegas” e che nella città dell’azzardo consumò l’ultima parte della sua attività sul palcoscenico. 

 

La Las Vegas di oggi è il frutto delle successive trasformazioni che l’hanno ripulita dall’eredità mafiosa, hanno ridotto al minimo la visibilità di alcuni dei vizi della città, come la prostituzione e l’alcol, e hanno costruito un luogo più adatto alle famiglie, alle grandi convention aziendali e a qualsiasi evento che permetta di raccogliere soldi dagli sponsor. Anche lo sport qui ha cambiato pelle. Un tempo gli eventi sportivi per eccellenza a Las Vegas erano gli incontri di pugilato, che attiravano una platea molto simile a quella dei casinò. Ora si punta su football e baseball e c’è una grande attesa per la Formula 1. Il circo delle auto è già passato una volta da queste parti, ai tempi di Gilles Villeneuve e Nelson Piquet. Due Gran Premi di Las Vegas furono disputati nel 1981 e 1982 su un circuito costruito in mezzo ai parcheggi del Caesars Palace, dove il primo anno vinse Alan Jones e quello successivo toccò all’italiano Michele Alboreto. Ma la F1 dell’epoca non attirava gli americani, più appassionati alle corse della formula Nascar e alla 500 Miglia di Indianapolis, e il circuito, posticcio e tutt’altro che cittadino, non piacque a nessuno: dopo due edizioni, Las Vegas fu dimenticata. 

Stavolta è tutto diverso. La F1 è diventata in questi anni un fenomeno enorme negli Usa, soprattutto tra i giovani, per merito delle serie “Drive to Survive” che le ha dedicato Netflix, che ha trasformato il mondo dei motori in un continuo set. Quest’anno il calendario ha previsto ben tre GP negli Stati Uniti, a Miami, Austin e ora a Las Vegas. Nella città dell’azzardo hanno fatto le cose in grande, con un tracciato che percorre una gran parte dei sette chilometri della Strip e si infila in mezzo ai grandi alberghi e alle attrazioni della città. I lavori per il paddock, costati 480 milioni di dollari, hanno paralizzato a lungo il centro della città e hanno permesso di realizzare spazi extra lusso per il pubblico e i vip. 

 

Las Vegas spera di rifarsi dell’investimento con gli interessi. Gli organizzatori lo promuovono come “il più grande evento sportivo al mondo nel 2023”, con un livello di accoglienza ed entertainment mai visto prima. Gli oltre 100 mila spettatori attesi hanno pagato come minimo duemila dollari per esserci e alcuni di loro spenderanno enormemente di più: il Nobu Hotel, per esempio, propone un “Emperor Package” per il gran premio da 5 milioni di dollari, che comprende villa riservata per 12 persone, spostamenti in Rolls Royce, cene cucinate dallo chef Nobu Matsuhisa, eventi esclusivi. Eccessi perfettamente in linea con la “tradizione” di Las Vegas, fin dai tempi di Bugsy Siegel. L’unica cosa su cui gli organizzatori sono impotenti, è come rendere interessante un gran premio di fine stagione con un vincitore scontato. In una città che ama le scommesse come Las Vegas, puntare su una vittoria di Max Verstappen rende assai poco. 

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