La regina Elisabetta II (LaPresse)

La monarchia inglese

Elisabetta II, regina di cuori. Il regno più lungo tra scandali e incertezze

Cristina Marconi

La sovrana più amata festeggia i settant'anni con la corona. Perché cosa succederà dopo di lei è ancora un mistero

"Non mi interesso molto alla famiglia reale, ma dimmi, hai mai conosciuto la regina?”. Uno studioso serio come Ben Pimlott, storico rinomato, raccontava questo aneddoto, tipico di ogni cena londinese di intellettuali, per spiegare la decisione di mettere da parte archivi laburisti e biografie politiche e di dedicarsi anima e corpo alla ricerca e alla stesura del monumentale, splendido “The Queen”. Troppo importante l’argomento da un punto di vista sociale, troppo misteriosa la perdurante forza della monarchia nella contemporaneità, nonostante la stagione difficilissima che i Windsor stavano attraversando negli anni Novanta.

 

Con le sue 700 e passa pagine, quello di Pimlott, morto nel 2004, non è un libro su Elisabetta, quanto sull’inconscio di un paese che non riesce a liberarsi di Elisabetta, che all’amore regale idealmente ricambiato – noi amiamo lei ma siamo anche amati da lei – non riesce a rinunciare. Facile, verrebbe da dire: la sovrana è splendida, degna, forte, si è adattata ai tempi, ci parla di Novecento ma sorride davanti al progresso, ha 95 anni e ci ricorda in tempi di pandemia e dibattiti sguaiati che il buon senso e un piglio risoluto possono fare molto nella vita. Con settant’anni di regno, fa sembrare quelli dei suoi antenati degli sbrigativi entr’actes, con la sola eccezione dell’interminabile era di Vittoria che però è ormai un ricordo lontano, essendo stata già superata di quasi sei anni. Che sia “God’s Grace” ad aver messo una giudiziosa ragazza di ventisei anni brava a riparare i motori sul trono nel febbraio del 1952 non sarebbe neppure del tutto da escludere, e infatti il Giubileo di Platino che si prepara per il 2022 gioca di certo, come tutti gli eventi legati alla Royal Family, più sulla mistica reale capace di parlare alle masse che sul diritto parlamentare, spiegazione ufficiale per la quale in teoria i Windsor sarebbero a palazzo. Ma che ne sarà di questa mistica, che ha funzionato a meraviglia per donne come la Regina Madre e Lady Diana – lutti oceanici, posti d’onore nella galleria dei ritratti di un paese – una volta tramontata l’era elisabettiana, quando l’ingravescente aetatem o altro obbligheranno gli eredi pallidi a prendere il suo posto? 

 

Pimlott suggerisce che l’emozione popolare esisteva ben prima di Diana e ci ricorda Charlotte Augusta, principessa ventunenne la cui morte di parto nel 1817 portò a reazioni in tutto paragonabili a quelle del 1997, e continuerà a esistere in qualche forma. Ma, per usare le parole del vittoriano Walter Bagehot, autore del fondamentale “La costituzione inglese”, il popolo continuerà a sentire “un obbligo mistico” di obbedire alla monarchia anche quando ci sarà Carlo sul trono? La sua immagine rosea e senile, ormai in dissolvenza, basterà a salvare il fortino di Buckingham Palace dagli attacchi esterni e soprattutto da quelli interni degli scandali di casa? Innanzi tutto va sottolineato che quello che fino a qualche anno appariva come uno scenario apocalittico ora è placidamente accettato, la popolarità di Carlo non è più incagliata nei fondali della fossa delle Marianne e lui si è inserito in una linea di continuità con la madre, somiglia sempre di più al padre Filippo, morto ad aprile scorso, e i suoi interventi nel dibattito pubblico, un tempo frequenti – i “Black Spider Memos” con cui scriveva a ministri e sottosegretari fecero temere che volesse regnare davvero – sono ormai blandi, evanescenti. Le controversie, anche quelle su Camilla accanto al re, sono state sedate, narcotizzate.

 

E se Carlo appare un po’ avvizzito e l’allettante promessa della monarchia in stile Famiglia Cuore, con i tonicissimi William e Kate, ancora troppo remota, ecco che negli ultimi tempi sono arrivati i fanciulli reali: sono ovunque. George, Charlotte – che somiglia tanto alla sovrana senza i boccoletti rigidi di nonna bambina – e Louis, ovvio, ma non solo. Non c’è giovinetta con l’apparecchio che non venga ripresa accanto ai genitori royals, ogni immagine degli appartamenti della regina lascia intravedere foto con grappoli di nipotini, Elisabetta è uscita dal riposo forzato che l’ha tenuta lontana da Glasgow e da altri impegni solo per andare al doppio battesimo dei penultimi nati di casa, tutti e due con un affettuoso “Filippo” come secondo nome, come a dire che se al funerale del marito era sola, la casa è tutt’altro che vuota. In verità ci sarebbe potuto essere un terzo battesimo, quello di Lilibet Diana, anche lei named after, fin troppo, ma quello del ramo californiano della famiglia è un terreno minato da cui è meglio stare lontani. Tutto questo per procedere spediti in quell’aggiornamento silenzioso e impercettibile con cui la famiglia reale resiste alle mode e per distogliere l’attenzione dai due enormi problemi di casa, le due minacce che rischiano di travolgere tutto, per l’appunto: Andrew e Meghan.

 

Il primo è uno di quei disastri di vecchio conio che sembrano usciti dall’annus horribilis 1992, quando non i comportamenti poco reali erano venuti tutti insieme alla luce del sole (e lì i repubblicani erano agguerriti) e soprattutto la qualità delle reazioni aveva dimostrato anche una paurosa assenza di intelligenza, di giudizio. I rapporti tra il terzogenito di Elisabetta e il finanziere pedofilo suicida Jeffrey Epstein sono una macchia indelebile per la corona e le accuse di Virginia Giuffre pesantissime, nessuno è al di sopra della legge, ma è la disastrosa intervista del 2019 ad aver arrecato il danno più grave, quell’effetto “ma come diavolo ragionano questi?” che un’istituzione che regge sulla grazia divina dovrebbe sempre evitare. Le foto di Epstein abbracciato a Ghislaine Maxwell nel cottage di legno di Balmoral sanno di profanazione di un luogo che vive nell’immaginario collettivo e che ora più che mai ha un disperato bisogno di accogliere nuovi, ben altri ospiti.

 

Lo sa bene Meghan Markle, che pone sfide ben più contemporanee, alla guida del suo esercito di millennial salutisti multietnici e sensibili a mille cause sacrosante e a molte altre che i loro fratelli maggiori neanche riescono a mettere a fuoco. Che sia simpatica o meno, non importa: il mondo somiglia a lei, dentro al Regno Unito ma anche e soprattutto fuori, nell’America che la prende sul serio e nei paesi che si stanno staccando uno dopo l’altro dalla Corona, come i dieci piccoli indiani di Agatha Christie, il cui titolo originale è “And Then There Were None”, “E poi non rimase più nessuno”. Barbados ha girato i tacchi quest’anno, eleggendo una presidente, ma restano altri quattordici paesi, tra cui il Canada, l’Australia, Papua Nuova Guinea e la Nuova Zelanda, oltre ad altri attraverso l’Asia-Pacifico e i Caraibi, a ricordare alla Corona inglese quanto fosse potente un tempo. Sono i “regni del Commonwealth”, ex colonie su cui Elisabetta ancora regna pur essendo stati indipendenti, e non invece parte del Commonwealth of Nations, anch’esso traballante, che invece conta 54 paesi un tempo parte dell’Impero ma non più sotto la Corona.

 

La sovrana è capo di stato ma non capo del governo, non ha reali poteri, si limita a nominare un governatore generale e si tiene la sua funzione di “simbolo del paese al di sopra delle parti, di continuità costituzionale e di autorità morale”. Su tutto questo mondo, le accuse di Meghan pesano per davvero. E la corsa per allontanarsi da ogni possibile retaggio coloniale si fa più rapida e audace, soprattutto in tempi di Black Lives Matter. La Giamaica, dove il movimento si è fatto molto più pressante negli ultimi anni, ha chiesto direttamente alla regina un risarcimento per il ruolo avuto dalla monarchia nel commercio di schiavi. E se il Regno Unito sta attraversando una fase storica tutta sua, con la mistica brexitara che implora di rimanere uno stato di eccezione, seppur sotto un sovrano con le orecchie molto protuberanti, altrove è diverso. Elisabetta “raccoglie un livello di rispetto non ancora guadagnato dal resto della famiglia reale, rendendo il futuro imprevedibile”, scrive il Council on Foreign Relations.

 

I sondaggi non sono rosei neppure guardando al Regno Unito, se si analizzano le giovani generazioni: YouGov dice che fino a due anni fa i 18-24enni erano chiaramente a favore della monarchia, con il 46 per cento pro-regina e solo il 26 per cento convinto della necessità di un capo di stato eletto. Già nel 2020 quest’ultimo gruppo di è rinfoltito, arrivano al 37 per cento: l’intervista di Andrew a Emily Maitlis, in cui ha detto bugie, non si è mostrato pentito e ha mostrato cospicue dosi di arroganza, ha avuto effetto, così come le “dimissioni” di Meghan e Harry dalla famiglia reale e, più di recente, le accuse mosse nell’intervista a Oprah Winfrey. Come tutto in questi anni, anche in materia di monarchia l’opinione pubblica si è polarizzata: gli adulti e gli anziani rimangono a favore dei Windsor. Ma c’è tempo per preoccuparsi, la controffensiva è iniziata da poco e ha iniziato a dare il primo risultato sperato, ossia quello di vedere il secondo in linea di successione al trono migliorare la sua immagine pubblica.

 

Sempre secondo YouGov la popolarità di Carlo è migliorata, soprattutto tra gli anziani, che però sono anche quelli che hanno più memoria dei suoi errori del passato, del presunto trattamento spietato ai danni di Diana, della sua relazione con Camilla, su cui invece il paese è tiepido, ma non ostile. Adorati sono William, Kate e ovviamente la regina, ma pure le seconde file che di questi tempi vengono sempre più spesso mandate avanti, come la principessa Anna o Edoardo, stanno vivendo un buon momento. Harry invece è in caduta libera, tra uscite sgraziate e quell’aria da sequestrato di lusso in un mondo in cui non ha un ruolo: i britannici non gli hanno perdonato di essere andato via di casa, lo vorrebbero rivedere che gioca a rugby con l’aria spensierata. Ma questi sono tutti personaggi di contorno perché è con Elisabetta che si fa la storia, nell’anno del suo Giubileo di Platino. Da quando è morto il principe Filippo, ad aprile scorso, è apparsa ancora di più come una figura stoica e in questo momento tutti abbiamo bisogno di riserve di stoicismo.

 

Per la prima volta la sua salute ha iniziato a mostrare qualche crepa, com’è normale che sia, ma il paese si è preoccupato. La notte in ospedale è stata un momento di panico anche perché, essendo solo la quinta in quarant’anni, i britannici non erano abituati. Ha iniziato a rallentare, a un certo punto a novembre era sparita per un po’ – toh, una novantacinquenne che si riposa! – e si è parlato di mal di schiena, è saltata la conferenza sul clima di Glasgow, il viaggio in Irlanda del Nord, niente giorno della Rimembranza, ma nel frattempo era comunque andata al G7 in Cornovaglia tre mesi dopo la morte del marito. Da palazzo hanno dato una spiegazione molto cool delle condizioni di Elisabetta: se è debole è tutta colpa di Emma Raducanu, la stella del tennis britannico, che la regina ha seguito nei suoi fenomenali US Open del mese scorso, con la tv accesa tutta la notte per non perdersi un rovescio della giovane prodigio. Si è un po’ stancata di applaudire, insomma. L’altra grande rivoluzione riguarda il Martini serale, che non si beve più, basta, finito, sconsigliato, come tutto l’alcol; sono saltati, si immagina, anche il bicchierino di rosso dolce tedesco a cena e quello di champagne prima di andare a dormire, in una routine così diversa da quella delle nostre nonne. 

 

Per le celebrazioni per il Giubileo di Platino è previsto un weekend di ponte di quattro giorni con eventi e manifestazioni come Trooping the Colour, una messa di ringraziamento e una parata con 5.000 artisti a The Mall. Ci sarà anche un concerto live a Buckingham Palace, il “Platinum Party at the Palace” e la regina andrà al derby di Epsom Downs, girando per il paese mentre il resto della famiglia reale viaggia per il Commonwealth. “Nessuno di noi può rallentare il passare del tempo”, ha spiegato al sinodo della Chiesa d’Inghilterra in un messaggio letto dal figlio, lei che si è insegnata a essere migliore dei suoi antenati anche se ha avuto meno poteri di loro. Possono i britannici tagliare i ponti con questo abbraccio regale e accontentarsi di avere un presidente della Repubblica come gli altri? Dove potranno volgere gli occhi quando Boris o un altro premier qualunque diranno una delle loro, faranno un errore? Il rapporto appassionato che i britannici hanno con i loro premier è qualcosa di unico – li votano, li bruciano, li sputano – e riposa su un ideale, su quel qualcosa di meglio che non si raggiunge mai, una figura più alta. Elisabetta non è quella figura, ma l’ha interpretata, l’impassibilità a cui gli inglesi naturalmente aspirano la incarna lei o chi ci sarà dopo di lei. 

 

Elisabetta è unica, ma siamo sicuri di volerci perdere le altre stagioni, quella con Camilla che diventa un po’ regina e fa qualche gag per preparare il pubblico al piatto forte, ossia la stagione tre, con William imbolsito e Kate che continua a rubargli la scena mentre le giovani leve crescono? Ci vogliono secoli di preparazione della psiche nazionale per avere un successo così, una storia del genere non smette di appassionare nel giro di un istante. 

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