il decennio dell'io

Gli anni Settanta sono tra noi

Michele Masneri

Dall'estetica alla musica, dalla politica alla spiritualità. E' tornato il decennio impresentabile? O non se n'è mai andato? E soprattutto: quando arriva il godimento dei prossimi Ottanta?

Ne dovevamo uscire migliori: ne siamo usciti invece negli anni Settanta. Chi si fosse risvegliato da un coma o da un lockdown un po’ più lungo oggi, in Italia, sarebbe convinto infatti d’essere tornato in quel decennio impresentabile. Ci sono tutti gli elementi: gli scioperi deliranti. Gli slogan ossessivi. La verbosità esagitata. Delitti e misteri. Manifestazioni, picchetti, ideologie. Infiltrazioni, servizi d’ordine. I “servizi”, sempre responsabili di tutto, oppure talmente smandrappati da essere alla fine una garanzia democratica? Anche la moda, business dell’eterno revival, premia i Settanta come non mai. 

 

Un eterno ritorno di una certa italianità che si pensava sopita? “Dopo aver gettato dalla finestra o nel cesso il golfino della mamma, la stufetta della zia Marisa, il vecchio setaccio e il vecchio imbuto della cascina Madonnina, riacquistare alla boutique del festival alternativo lo scialle della nonna Clotilde, il braciere del podere Galli-Cedroni, i comodini della cugina di Le Goff e la cuccuma con le chicchere della zia di Duby” (Arbasino, “Un paese senza”). “Un decennio di riapparizioni di vecchi flagelli italiani anche troppo noti, e di vecchie solfe già abbondantemente descritte tali e quali in ogni secolo di vita nazionale, riportate indietro tali & quali dalle generazioni più trasgressive nel loro continuo recupero di vecchi abbigliamenti italiani e vecchie acconciature italiane e vecchie astrazioni italiane e vecchia violenza italiana” (sempre Arbasino).

 

In tv ci sono i Måneskin, apprezzatissimi remake dei remake. Damiano, Victoria, Thomas e Ethan. L’ultimo singolo “Mamma mia”, (“I feel the heat up, uh, I feel the beat of drums/Call the police, I′ll do it, they've stolen all my fun/I′m breaking free, but I'm stuck in a police car/Oh, mamma mia-ma, ma-mamma mia-ah» strizza l’occhio e l’orecchio a sesso droga e polizia, ma anche e soprattutto all’omonima canzone degli Abba, correva l’anno 1975. Nella moda, se Fendi nelle ultime sfilate guarda a “una donna libera che guarda con interesse a Patty Cleveland, Jerry Hall, Bianca Jagger, muse moda cariche di sense of glamour” ("Vogue"), ecco il profluvio di caftani, stivaloni, e perfino pellicce, per essere assaltate dalle uova alle prime all’Opera da giovani in loden o eskimo (e però, oggi, ecco l’eskimo chic, ecco “un nuovo modo di presentarsi a teatro. Una seduzione che passa innanzitutto dal cervello. Alla Scala con il parka, di broccato rosa e portato con reggiseno e pantaloncino in raso: è la proposta di Ermanno Scervino per la prossima estate, in passerella a Milano. “Spero che questa sia la fine di un momento molto difficile - racconta lo stilista toscano alla prima sfilata dal vivo dopo le restrizioni dovuta alla pandemia - e l'inizio di qualcosa di meraviglioso. Per la prossima stagione ho lavorato con le mie icone: i tessuti tecnici trattati come la Couture, lo sport che diventa elegante”), "il Gazzettino".  

 

Anche delitti la cui riproposizione pone sempre quel dubbio (farà bene per sensibilizzare le masse o invece mette in testa a sprovveduti pericolosi effetti-imitazione?).  Non avrebbero mai sognato tanta pubblicità registi e produttori e autori de “La scuola cattolica”, film tratto dal libro di Albinati. Dopo la provvidenziale categorizzazione “per minori di diciotto” è stato preso d’assalto, e dunque eccoci lì, tutti in fila, di domenica, nei cinema riaperti, e pochi audaci in tasca non l’Unità ma il greenpass. Tutti a rimembrare, a fare confronti, i più sul pezzo hanno letto anche i memoriali del vero Angelo Izzo, che andrebbero proibiti ai minori di 99 anni o invece fatti studiare nelle scuole, la vera banalità del male, sostiene che la famiglia non c’entra niente, che la scuola nemmeno, è che a lui piaceva proprio violentare e uccidere, non solo delle signorine, anche dei signorini: “Tra l'altro fu in quel periodo che ebbi il primo vero rapporto omosessuale. Accadde con un ragazzo francese del Panier, un quindicenne dall'aspetto femmineo e un sorriso incantevole. Lo desiderai appena lo vidi. Feci così l'impossibile per corromperlo. Gli regalai denaro, fumo, eroina, ma un po' le circostanze, un po' le mie indecisioni e timidezze, non riuscivo proprio a concludere. Continuò così per un bel po', finché un pomeriggio praticamente lo violentai”. Ecco.

 

Mentre nel film, che costituisce il più grande spot per licei e medie statali, si esce convinti che non avrebbero potuto essere che assassini seriali i rampolli di quelle famiglie, con papà scamarci esperti di caccia grossa e mamme concupiscenti di compagni di scuola cacciatrici in utroque, papà in the closet con famiglie modello e coming out sui giornali. Mah. Però, uscendo dal cinema, presi d’assalto dalle masse riflessive, ecco la città coi blindati, e i cartelloni elettorali con la falce e il martello (almeno cinque le liste comunali col glorioso brand); i sampietrini accumulati non per essere lanciati (oddio, non offriamo strane idee) bensì per i lavori di sistemazione delle strade romane, sgangherati ed eterni più che il fascismo italiano.

 

Ma rimanendo in piazza: tra i manifestanti alla protesta pro Cgil c’era Gianni Cuperlo, secondo cui “Quello che è successo è un attacco senza precedenti mai accaduto neanche negli anni Settanta in cui la violenza era una costante”.  Avanza la Fiom, “ora e sempre resistenza”, gridano i militanti mentre si fanno largo. Riparte Bella Ciao, questa volta con più forza di prima”. (Huffington Post). Sugli infiniti remake di “Bella ciao”, si è già scritto molto (cantata alla “Casa di carta”, ma anche da Anthony Hopkins ammollo in una piscina sotto il sole del Chiantishire, o fatta risuonare all’Ariake Arena di Tokyo, nell’esercizio alle clavette della ginnasta russa, Arina Averina).

 

Ma se Trump e affiliati ascoltavano ossessivamente “Gloria”, la hit del nostro amato Umberto Tozzi composta nel 1979, nel momento fatale alla patria in cui gli sciamani prendevano d’assalto il Congresso, chissà cosa avranno ascoltato gli eventuali infiltratori-complottisti italiani nei giorni dei disordini romani: forse sempre i Måneskin? O forse la Pausini o la Carrà o qualche altra rockstar italiana di enorme successo nei mercati latini? C’è ormai sempre il sapore del triste revival anche qui: anche Giorgia Meloni con la sua esibizione spagnola più che incutere timore mette tristezza, si capisce la grana di questa classe politica millennial che si autopercepisce a tempo determinato, consapevole che se non andrà bene con la politica magari si tenteranno altre strade intrattenitive, e lei sembra ricalcare, e sperare nel, classico percorso del divismo italiano, coi cantanti e le star sui mercati minori, non quello angloamericano bensì il russo oppure lo sterminato di lingua spagnola. “Yo soy una mujer” ha fatto venire subito in mente “yo la tengo como todas”, naturalmente, e anche la Carrà, "Fiesta", 1977  (je piacerebbe): è la speranza che un format funzioni un po’ all’estero  (“la personalizzazione dei ruoli politici in base a motivazioni caratteriali ridotte a grossolani caratteri fisici”, sempre Arbasino).

 

I Settanta erano poi naturalmente il “decennio dell’Io”, secondo il celebre pezzo di copertina sul “New York Magazine” dell’agosto 1976, che con Tom Wolfe dà ufficialmente inizio al secolo lungo del narcisismo (il pezzo si apre con  “Me and my hemorrhoids”, grido di una ragazza che, durante una sessione di meditazione new age, invitata dal guru a “condividere”, con tutti nella main hall dell’Ambassador hotel di Los Angeles, le sue sensazioni più profonde, a trovare l’autenticità, a liberarsi dalle ossessioni, urlerà: “emorroidi”. C'è chi vuole liberarsi del marito o della moglie, dell’omosessualità o della timidezza, dell’odio di sé o della eiaculazione precoce, lei vuole liberarsi delle maledette emorroidi che la tormentano, e lo annuncia al microfono cioè al mondo. Mentre solo qualche settimane fa, giornali invasi dalle considerazioni dell’attrice Francesca Neri, si è detto, su una devastante cistite, o sulle polluzioni del magnate Oscar Farinetti. E’ negli anni Settanta che nasce, probabilmente, quel culto egotico della sofferenza e dei modi per trattarla. I tormenti dell’io, e le voglie di sfuggire lontano, portandoselo con sé. Dunque, ricerca di alternative con le droghe e droghine, l’andare a vivere in campagna magari facendo agricoltura biologica o biodinamica, il rifiuto della “medicina ufficiale” – gli anni Settanta sono anche gli anni dell’esplosione dell’omeopatia, rimasta sopita fin dall’Ottocento.

 

Quindi culti, sette, credenze, anche oggi, in cui l’Io (sempre lui) si atomizza e si frammenta, e ognuno cerca la sua strada dopo l’abbuffata di collettivismo dei Sessanta: dunque culti strampalati subito infiltrati da “menti raffinatissime” che ne approfittano per tornare su piazza (in senso letterale e figurato); ecco in America la setta scemo e più scemo del QAnon, dove i politici di sinistra si nutrono non di bambini ma (versione rivisitata) di sangue di bambini (questa gente vota, e viene votata: due parlamentari eletti). 

 

Tarocchi, New Age, sciamani molto vintage, Jack Angeli – e qui torniamo all’estetica - che però nel suo mix & match come chi rimesta tra credenze e ossessioni, non stonerebbe nella Gucci gang. Però, da noi, patria del design, il culto del NoVax e del NoPass trova testimonial di scarso appeal. Castellino e Fiore, forse perché romani, forse perché fuori forma, forse perché semplicemente fasci, non dicono granché come stile, anche se le felpe “Boia chi molla”, collaborazione involontaria con North Face, non sono oggettivamente male. Ma forse questo è il decennio della felpa, da quelle della Polizia di Salvini a quelle Alitalia dei Ferragnez a queste dei fasci, la felpa come signifier.

 

Intanto, nuovi culti che si organizzano e si aggiornano. Racconta il “Washington Post” come nel 2009, Charlotte Ward, una ricercatrice indipendente sulla spiritualità “alternativa” - credenze religiose al di fuori dei gruppi convenzionali - ha iniziato a notare un ibrido tra i nuovi complottismi e la cultura New Age che spuntavano online e due anni dopo ha coniato un termine, “cospirituality”, cospiritualità, ibrido tra cospirazione e spiritualità. In un articolo intitolato "The Emergence of Conspirituality", sul Journal of Contemporary Religion, nota un'enfasi su modelli e connessioni sia nella cultura del complotto che nelle credenze spirituali alternative. Niente è come sembra e niente è un incidente. "Queste visioni del mondo rendono rispettivamente la vita pubblica e personale meno soggetta a forze casuali e in ciò risiede parte del loro fascino", scrive. La "cospiritualità" è una "filosofia politico-spirituale basata su due convinzioni" - una fondamentale per le teorie del complotto e l'altra radicata nei sistemi di credenze New Age: "1) un gruppo segreto controlla segretamente, o sta cercando di controllare , l'ordine politico e sociale, e 2) l'umanità sta attraversando un "cambiamento di paradigma" nella coscienza. I sostenitori credono che la migliore strategia per affrontare la minaccia di un "nuovo ordine mondiale" totalitario sia agire in accordo con una visione del mondo del "nuovo paradigma" risvegliata". Ma sì.

 

Anche, poi, oggi come allora, enorme verbosità e specificità su temi identitari anche importantissimi. Privato politicissimo fino allo sfinimento. Ritorno al centro della scena di teorie universitarie “campus left” squisitamente Seventies. Intersezionalità; nuovo femminismo; gender studies. “I limiti del mio vocabolario sono i limiti del mio mondo”: mondo e vocabolario sempre più complicati, anche quelli dei menu sui ristoranti che hanno ormai le carte delle acque minerali e dei caffè e degli allergeni, tutta roba che nasce da lì (e oggi, Berkeley, già patria della controcultura, è soprattutto terreno di ristoranti pluristellati). Insomma ha vinto il cavolo nero, non le brigate rosse.

 

A proposito, si chiama “costo di menu” una delle conseguenze classiche dell’inflazione (nei ristoranti più cheap, in quel decennio, siccome i prezzi continuavano a salire, non era più conveniente stamparli ogni giorno diversi, e i camerieri dicevano i prezzi a voce). E così, oggi, di nuovo incubo inflazionistico: “avrebbero dovuto sembrare i roaring twenties, ma altri temono che comincino a sembrare i settanta”, dicono alla Reuters.  Inflazione oltre il 5 per cento negli Stati Uniti, 2,6 per cento in Italia. Gas e petrolio alle stelle! E la penuria di chip! Secondo la rivista Barron’s, la ristrettezza di semiconduttori di oggi è come la crisi petrolifera degli anni Settanta. “Se il petrolio era la componente necessaria allora, i chip forniscono la stessa funzione negli anni '20. Alimentano tutto, dai nostri computer e telefoni alle nostre auto ed elettrodomestici. E, come ormai tutti sanno, c'è una carenza, con tempi di consegna che crescono fino a più di 20 settimane”.

 

Ma poi, ancora: ritirata delirante e sgangherata della nuova America bideniana dall’Afghanistan (Vietnam, di nuovo tu): alzata dell’elicottero diplomatico dall’ambasciata (Hanoi, again), e migliaia di locali appesi. E però: alla fine degli anni Settanta micidiali arrivarono gli Ottanta dei Reagan e delle Thatcher. Chissà che non siano già qui, con Draghi e il pugno di ferro greenpassiano sui portuali (ma sarà credibile e attuabile un thatcherismo in Italia, dove ci conosciamo tutti? Speriamo poi che del riflusso arrivino anche i godimenti, però fate presto, vabbè.

 

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).