Il Foglio del Weekend

Grindr, la Bestia dell'acchiappo

Michele Masneri

Dai militari israeliani a Morisi, la saga della app che ha rivoluzionato il mondo con l’iPhone e la geolocalizzazione

Chi di social ferisce di social perisce, sarebbe una nemesi fin troppo facile, e però questa del Merisi sembra sempre più una spy story, spy story ovviamente sgangherata in quanto italiana, tra mafia rumena, escort che chiamano i carabinieri, carabinieri pronti (a Ferragosto!) a complicate analisi chimiche di droghe liquide di nicchia. Morisi e canzoni: una storia talmente brutta (o bella, dipende dai punti di vista), questa ambientata a Belfiore, Padania profonda, tra il Vicentino, il Veronese e il Mantovano, da sembrare finta. Ma con un punto sicuro, la piattaforma tecnologica su cui tutto scorre, Grindr, il social ormai antico di derivazione militare israeliana, primo a sfruttare la tecnologia Gps, con la sua grafica nera e gialla anche sgraziata che è ormai parte dell’iconografia gay.

   

La piattaforma su cui Morisi avrebbe chiamato i due escort, Grindr, nasce infatti nel 2008 quando Apple annuncia l’iPhone 2 con il Gps incorporato, e Joel Simkhai, newyorchese di prima generazione, figlio di tagliatori di diamanti a Tel Aviv, si inventa il social dell’acchiappo. “Per trovare ragazzi gay intorno a me”, è la risposta classica quando gli chiedono come gli venne in mente di creare, dopo una laurea in relazioni internazionali, l’app che rivoluzionerà il rimorchio tra signorini. Anche gli altri due fratelli sono gay, uno fa lo stilista, l’altro ha un salone di bellezza, e pare che mamma Simkhai al terzo coming out abbia vacillato.

   

   

Il Simkhai tecnologico investì 5.000 dollari, meno di quanto Morisi abbia investito per la notte ferragostana, e cambiò per sempre il mondo, non solo gay. Oggi Grindr funziona in 196 Paesi, il tempo medio di permanenza è di 54 minuti al giorno contro i 42 di Facebook, ogni giorno nel mondo circolano 38 milioni di messaggi e 8 milioni di foto in questa che comunque rimane una nicchia rispetto ai colossi tipo Tinder, lanciato da Barry Diller, marito di Diane von Fürstenberg. E “basica” rispetto per esempio a Bumble, la piattaforma rimorchiona riflessiva dove solo la donna ha diritto a fare la prima mossa (è stata fondata da una signorina già sedicente molestata da un pezzo grosso della suddetta Tinder). 

 

Nel 2016  Grindr è stata rilevata dai cinesi di Beijing Kunlun Tech, uno dei più grandi produttori di videogiochi del Paese, che poi ha rivenduto a un gruppo di investitori californiani, dopo che la Casa Bianca aveva intimato, come con TikTok, che Grindr doveva tornare americana: effettivamente tra i trilioni di dicpicks nei suoi cloud allignano anche i segreti non solo di Morisi ma di tutti noi, e dunque si pone un problema di sicurezza nazionale e internazionale (e quindi, per i complottisti: saranno oggi gli americani ad aver segnalato le attività di Morisi, come fecero con Mani Pulite negli anni Novanta? Sarà parte del grande reset, il reset mutandaro su Grindr?). A un certo punto la storia  si intreccia pure con quella di Berlusconi: una cordata di imprenditori tra cui il figlio Luigi Jr. doveva comprarlo, ma non se ne fece niente, vinsero i californiani.

  
Di sicuro Grindr ha funzioni da Mossad: impostando dei contatti come preferiti, essi rimangono tracciabili ovunque e per sempre sul globo, con scarto di metri sei; favorendo stalking e appostamenti, ma anche ponendo seri problemi di sicurezza in regimi poco friendly (in Egitto la polizia è stata accusata di usare Grindr per stanare gli omosessuali). La funzione Gps rende Grindr interessante da aprire (anche molti etero e molte amiche delle Ghei lo usano, solo per questa funzione): alla Leopolda, all’Expo, al meeting di Rimini, con risultati sempre sociologicamente sorprendenti. Si sa che in specifiche situazioni va in crash; nel Marais, durante la settimana della moda a Milano, in Porta Venezia, ecc. Talvolta, però, con sorprese: localizzando cugini al pranzo di Natale, vicini di casa, sentinelle in piedi. 

 

L’azienda è riservatissima. Si provò più volte a contattarli, senza riuscirci: una volta Simkhai in vacanza in Toscana dopo aver fissato la call rispose di non avere campo; un’altra volta si provò ad andare alla casa madre a Los Angeles, ma niente neanche lì. Intanto loro incamerano dati, e ora rilasciano pure stime, come una Cgia di Mestre: in febbraio un sondaggio su come varia l’amore online condotto su 10.000 utenti tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Brasile ha mostrato cambiamenti che il Censis si sogna: il 69 per cento durante la pandemia ha visto più porno; il 58 per cento dice di essere più interessato di prima a relazioni; il 67 per cento dice che la personalità dell’altro è più importante di prima; il 46 dice che il Covid è stato un'ottima conversation piece per iniziare una conversazione.

 

 
Ma Grindr è interessante, più per i suoi big data, per i piccoli cambiamenti della società che registra. Ha mandato sul lastrico tutto il settore dei locali gay peggio dell’epidemia dell’Aids, e questi sopravvivono ormai solo se dotati di buon wifi, perché anche appoggiati a un bancone accanto ad avventori pregiatissimi ci si troverà a scrollare il proprio telefono incuranti del vicino. Grindr poi come una grande Crusca ha assorbito i cambi linguistici e i tic e i modi di fare, registrando usi e costumi, e  acronimi sempre nuovi: dal “prep”, che non è la  crema da barba nostalgica bensì la profilassi che ha sostituito la “condom culture”, al fatale pnp (party and play), che nei paesi anglosassoni sta per il nostro chemsex: il Grindr dice insomma molto di noi, chi siamo, cosa vogliamo, e il Grindr di Morisi sarebbe un documento assai interessante.

 
Che desideri ha, come si autorappresenta quando è sicuro di non essere in pubblico, il social media manager di un celebre politico di ultradestra in un paese europeo nel 2021? Questa storia, peraltro, è anche la peggior pubblicità che sia mai stata fatta al ruolo di social media manager politico, derivazione del vecchio spin doctor a sua volta figlio dei vecchi portaborse, personalità impegnate a far brillare la figura del loro boss mentre la loro magari contiene “fragilità esistenziali non risolte”, per dirla alla Morisi: nonostante una grande tradizione, dal Doug Stamper di House of Cards, alcolista perfido e cinico, al reale Brad Parscale gran teorico e praticone della campagna social media che fece vincere Trump nel 2016, insomma non della Bestia ma del Bestione, arrestato l’anno scorso barcollante in Florida (poi con ritrovamento di pistole in quantità in casa).

 

Più tutti gli assistenti e consiglieri magari gay accanto a uomini importanti magari eterissimi. Dietro un grande uomo a volte c’è un grande uomo, e però queste vite di consiglieri, di spin, per definizione nell’ombra, sono sempre un po’ ammantate di tristezza. Per questo sarebbe bello vedere il Grindr di Morisi. Sarebbe un documento interessante dal punto di vista letterario e sociologico, e non certo giuridico, perché, qui andrebbe precisato, ove ce ne fosse bisogno, che il reato di festino gay ancora non esiste, neanche come aggravante. Neanche è stato codificato il concorso esterno in festino gay (reato più fumoso del  traffico di influenze). Perché oggi con questa storia che pare venuta fuori da uno sceneggiatore un po’ dalla mano legnosa, “il festino” nella bassa, l’escort rumeno, la droga liquida e solida, siamo tra Tinto Brass e “i Complessi” (Ugo Tognazzi integerrimo deputato Dc che finisce in un “balletto verde” indeciso tra “pistillo” e “corolla” e in un mood che scambia per seminariale).

 

E’ tutto un “somewhere in northern Italy” che a Guadagnino procurerebbe un malore: e però in questo rimestare di memorie pare soprattutto un momento di ritrovata unità nazionale, tutti a ricordare, a rimembrare, anche con epiteti d’epoca, e dunque filologicamente: froci, ricchioni, busoni, chi più ne ha più ne metta, un passato da “Vizietto”, quasi che ci fosse, dopo i mesi dello Zan, una specie di nostalgico backlash (e via, a ricordare i grandi scandali gay d’epoca e i ministri democristiani “dell’altra sponda”: ma naturalmente solo per stigmatizzare, insomma come i mille ricordi dei campi di concentramento e delle shoà, fatti sempre per “non dimenticare”, e però magari chissà cosa istigano nella mente dell’omofobo in sonno).

 

 

A partire da quelle “difficoltà esistenziali non risolte”, definizione che non sarebbe accettabile neanche in un DSM di un decennio fa per descrivere l’omosessualità. Perché va bene la droga, ma è chiaro che ciò che colpisce, in questo caso, è il sesso anzi il gender degli avventori. Saremmo tutti così severi e impressionati se al “festino”, pur con droghe solide o liquide, fossero state presenti delle signore invece dei signori? Come in tanti altri casi, come nelle varie vicende dei vari Lapi, ciò che colpisce è sotto la cintura. E poi anche un povero Morisi, nello spleen del Ferragosto, al netto delle ipocrisie, non avrà avuto diritto a farsi i fatti suoi? Immerso nell’umidità nel suo “palazzo Moneta”,  barchessa frazionata nel mezzo del nulla, che invece che guardarsi su Instagram le stories degli amici in vacanza come tutti noi, rimedia due escort nemmeno a chilometri zero ma da Milano (questa storia è anche un gran manifesto contro l’andare a vivere in campagna, care archistar).

 

E allora ecco questi escort esemplari e dotati di altissimo senso civico che denunciano, avvertono, ricevono bonifici tracciabili; esercitano il meretricio ma solo perché costretti dal Covid (“a me m’ha rovinato er Covid”, siamo sempre in un film di Alberto Sordi ). Voteranno Sala e avranno l’abbonamento a Internazionale? Tra un po’ ne faremo i nuovi martiri di Belfiore: ma il Belfiore di Morisi non è da confondere con quello diventato celebre nel 1852 per i patrioti impiccati dal feroce Radetzky (non il bar, il maresciallo) dopo la prima guerra d’Indipendenza (e siamo subito in “Senso”). 


Qui però siamo appunto più dalle parti del remake, quello pecoreccio, quel “Senso 45” con le famose nudità di Gabriel Garko. E il Belfiore di Morisi fino all’Ottocento si chiamava Porcile, e insomma meglio lasciar perdere e tornare al Grindr, e lì chissà che immagine- profilo avrà messo il Morisi. Si presume non la faccia sua, come generalmente usa nella galassia degli “insospettabili” e generalmente “bisex” che allignano  in provincia e nei luoghi meno cosmopoliti. Dunque pezzi di corpi, piedi, ginocchi, pettorali, oppure sfondi di magari della bella Venezia o dell’altrettanto gradevole piazza delle Erbe a Verona. E cosa avrà specificato in quella specie di autodichiarazione covidica che ti chiede chi sei e cosa vuoi, la schermata grinderiana? Sarà stato sovranista anche lì, quindi, come spesso si legge, no asiatici, no grassi, no questo, no quello, o sarà magari un coccolone in cerca di “dates”?

 

Avrà accettato o no i nudi? Perché negli anni Grindr si è adattato all’etica puritana di Apple e dunque tra le varie specifiche tu utente ti puoi dire contento o scontento di ricevere dettagli anatomici, che sono la vera valuta del mezzo, l’NTF del Grindr. Le nudità  sono tollerate solo tra utenti, è vietato metterle sul proprio profilo, in questo Grindr ha un’etica molto leghista (“queste cose fatele a casa vostra”). E c’è tutta una letteratura sulla pruderie di Grindr, che non tollera capezzoli e altre pudenda peggio di una nostra nonna o di Instagram. E a Los Angeles, nella casa madre, è in servizio permanente una leggendaria squadra di dodici censori che manualmente, in assenza ancora di un algoritmo censorio, spulciano i milioni di foto che gli ansiosi possessori della app vorrebbero mettere, giustamente vogliosi di piazzare in vetrina un pettorale ben riuscito dopo mesi di defatigante panca piatta, un mutandone che con ombreggiature giuste promette turgori beneauguranti (ma la squadra senza pietà decide: tu sì, tu no). 

 

E poi le conversazioni, le conversazioni defatiganti: “ospiti?”, “ti sposti?”; da cui si capisce  anche lì il costume di un popolo più che  leggendone le letterature, per cui a Roma oltre i 300 metri di distanza nessuno si alza nemmeno dal letto, e c’è sempre un “devo passà da ‘mi madre prima” che ammazza ogni desiderio, mentre in paesi del Nordeuropa ci si organizza, anche in condizioni climatiche severe;  per non parlare dei paesi tropicali dove si raccolgono subito adesioni entusiastiche: “che ci vuole? Parto subito”, anche da utenti lontani duecento miglia. Tutto è relativo, si sa. Però, nessuno che abbia ancora avuto l’idea, come si è detto tante volte, di applicare questa benedetta intelligenza artificiale a queste app, col suo bel chatbot che faccia almeno una scrematura, di misure e gusti anche musicali e filmici (gli piace Woody Allen; vota Raggi; odia l’aglio e il sadomaso; è un novax convinto ancorché superdotato), per poi magari “entrare” disattivando il pilota automatico dopo questa prima fase. Però per fortuna in America esiste una app che si chiama MyMd, analizza le conversazioni via chat e le inquadra tra le categorie del Dsm,  ed è già qualcosa. Si eviterebbero anche i raggelanti “sono escort!”, arrivati dopo mezzore di conversazioni anche complimentose (e potevi dirlo prima!). Ma allora, se non interessati alla prestazione prezzolata, generalmente si risponderà: “anch’io!”; oppure, “io invece Fiesta! (ma i più giovani, soprattutto se sprovvisti di patente, non la capiscono mai). 

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).