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La bandiera bianca è lo specchio di un mondo in cui non da oggi vive Papa Francesco

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Alla Santa Sede non sanno a che santo votarsi (eccetto il cardinale Pietro Parolin).
Michele Magno

Quando il mondo che si occupa della comunicazione del Papa passa tre giorni a correggere ciò che il Papa ha detto non significa che la comunicazione del Papa è difettosa: significa più semplicemente che i comunicatori del Papa sanno quanto può essere pericoloso anche per il Papa lasciare il Papa libero di dire quello che pensa sull’Ucraina e sull’occidente. La bandiera bianca non è un incidente. E’ lo specchio di un mondo, un mondo dove la “Nato abbaia” ai nemici dell’occidente, in cui non da oggi vive Papa Francesco.


Al direttore - Non è che la proprietà del Milan è ancora di Berlusconi, uguale uguale a Forza Italia?
Maurizio Crippa


Al direttore - Divoro ogni mattina il Foglio. Una umile osservazione al pezzo di ieri dell’ottimo Salvatore Merlo. Ha scritto che la tracotanza della destra vittoriosa in Abruzzo rivela solo insicurezza. Paragonandola a Brenno, che alla testa dei Galli Senoni prese Roma nel 390 a. C. L’eccesso di arroganza non portò bene a Brenno, scrive Merlo, visto che finì suicida in Grecia. No. Il Brenno che si suicidò mentre si accingeva al saccheggio del tempio di Apollo a Delfi è di un secolo dopo, attestato da fonti tarde come Pausania Periegeta e Marco Giuniano Giustino. Il mio primogenito si chiama Brenno proprio perché il Sacco di Roma (passarono otto secoli prima che Roma cadesse di nuovo) derivò dal fatto che i tre ambasciatori della gens Fabia mandati da Roma a trattare con Brenno a Chiusi furono loro a determinare la guerra, uccidendo un capo dei Galli mentre la loro natura di parlamentari impediva assolutamente di farlo. Circostanza che la nostra storia nazionalista dimentica sempre. Per me, viva sempre Brenno che reagisce a chi vìola i patti. 
Oscar Giannino

Risponde Salvatore Merlo. Caro direttore, ha ragione Oscar. Cercavo la tracotanza, ma ho trovato un granchio.


Al direttore - Invitare alle dimissioni il ragioniere generale dello stato (rgs), come fa Luciano Capone sul Foglio del 5 marzo scorso, è errato nel merito e nel metodo e istituzionalmente pericoloso. Nel merito l’accusa al rgs è di aver sbagliato le previsioni sul costo per l’erario del bonus 110 per cento. Quindi di essere incompetente. Ma chi aveva, nel maggio del 2020, ossia in pieno lockdown, la più pallida di quanto sarebbe durata la pandemia e quali sarebbero stati gli effetti sull’economia? Basta andare a leggere le analisi fatte allora per capire che nessuno pensava che ce la saremmo cavata così rapidamente (absit iniuria verbis) e a così buon mercato in termini di pil. Inoltre, in circostanze eccezionali come quelle (cui si è aggiunta la crisi energetica: forse anche questa ha incentivato a usare il 110 per cento?) i tradizionali modelli di previsione sono carta straccia, perché cambiano i comportamenti e quindi i parametri dei modelli stessi. Tra i cambiamenti c’è stato il rilancio dello smart working e la riscoperta della home sweet home, con conseguente spese per abbellirla. Nel metodo si pretende che le dimissioni allora del rgs avrebbero potuto fermare il provvedimento, come il dito dell’olandesina a tenere la diga. Viceversa, nel 2020 sarebbe stato nominato un altro rgs che avrebbe bollinato la misura, distruggendo così la credibilità e la fiducia nell’indipendenza di tutta la Ragioneria, di cui il rgs è solo il vertice. Mentre rassegnate oggi non modificherebbero il modus operandi della Ragioneria generale tutta, modus affinato e collaudato in alcuni decenni, e avallerebbero l’idea che egli abbia davvero sbagliato, cosa non vera per quanto detto sopra. E’ istituzionalmente pericoloso perché, minando inutilmente la credibilità della Ragioneria, le dimissioni renderebbero più difficile il lavoro del Quirinale nel controfirmare le norme varate dal Parlamento. Si potrebbero aggiungere alcune altre considerazioni, ma non voglio abusare della sua ospitalità.
Luca Paolazzi

Spiace contraddirla, caro Paolazzi, ma Capone ha ragione: un ragioniere dello stato che bollina leggi in grado di far sballare i conti dello stato è un ragioniere che non fa gli interessi dello stato. Nel peggiore dei casi, è responsabile di una grave sottovalutazione dei conti (Superbonus, rivalutazione dei beni). Nel migliore dei casi, è irresponsabile perché considera la Ragioneria dello stato in grado di prevedere solo  ciò che si può facilmente prevedere. Ma un ragioniere di stato deve occuparsi solo di ciò che si può prevedere o deve interrogarsi e bollinare anche in funzione di leggi che possono avere un impatto non prevedibile? Risposta esatta.
 

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