Ansa

Ragionier Mazzotta che fa, lascia?

Luciano Capone

Il Ragioniere dello stato non può fuggire dalle sue evidenti responsabilità sul Superbonus: ha sbagliato ogni previsione

Lo scorso maggio, durante un’audizione alla Camera, dopo aver illustrato l’esplosione della spesa del Superbonus e del Bonus facciate, rivelatasi superiore di 45 miliardi rispetto alle previsioni iniziali, il Ragioniere dello stato, Biagio Mazzotta, disse ai parlamentari: “In prospettiva, dotarsi di modelli di valutazione d’impatto ex ante ed ex post è fondamentale”.

Quella di Mazzotta, nominato Ragioniere generale nel 2019, era l’ammissione – seppure molto eufemistica – che la Ragioneria dello stato (Rgs) aveva cannato completamente tutte le previsioni: secondo le relazioni tecniche dei provvedimenti il Superbonus sarebbe dovuto costare 35 miliardi e invece ne era costato 67, mentre il Bonus facciate sarebbe dovuto costare 5,9 miliardi e ne era costato 19. Un “errore” di 45 miliardi, oltre due punti di pil, pari all’incirca a un paio leggi di Bilancio. Il Ragioniere stava confessando che la Rgs è venuta meno al suo compito istituzionale: “Garantire la corretta programmazione e la rigorosa gestione delle risorse pubbliche”, citiamo dal sito della Rgs, oltre che “la certezza e l’affidabilità dei conti dello stato, la verifica e l’analisi degli andamenti della spesa pubblica”.

 

Dopo che erano iniziati a emergere dati su una corsa del Superbonus anche in estate, a settembre sul Foglio ci chiedemmo quale credibilità avesse la Rgs e se, dopo un clamoroso errore del genere, fosse almeno stata imparata la lezione: “Cosa è cambiato nei modelli e nelle procedure, cosa cioè garantisce che non si verificherà nulla del genere in futuro?”. Quegli articoli vennero interpretati come un “attacco” al “custode dei conti” e letti con le lenti della politica, nel contesto di una strisciante tensione tra Palazzo Chigi e il Mef sulla figura del Ragioniere. A nessuno pareva interessare il tema reale della questione. E così, poche settimane dopo, a fine settembre, nella Nadef il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti riportò una “revisione al rialzo dell’impatto di bilancio dei crediti d’imposta legati al Superbonus dell’1,1 per cento del pil”: nel Def di aprile il Mef aveva previsto una spesa di 14 miliardi per tutto il 2023, e invece a settembre dice che sarà di circa 37 miliardi. Quasi il triplo: 23 miliardi in più. Ma non è finita lì, purtroppo.

 

Pochi giorni fa, il 1 marzo, nella sua revisione dei conti pubblici, l’Istat ha certificato che nel 2023 per effetto del Superbonus il deficit è stato 1,9 punti percentuali più alto rispetto alle stime della Nadef. Vuol dire, in sostanza, che in soli tre mesi – da ottobre a dicembre – sono stati spesi 39 miliardi di euro in più di Superbonus. Il costo nel 2023 è stato di 76 miliardi di euro: 60 miliardi in più rispetto alle previsioni del Def. In pratica, a fianco a una legge di Bilancio da circa 30 miliardi presentata dal governo e approvata dal Parlamento, ce n’è stata un’altra occulta e quindi senza coperture dal valore doppio.

 

Si tratta della più grave violazione dell’articolo 81 della Costituzione, quello sull’equilibrio di bilancio, che al terzo comma sancisce che: “Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”. Questa violazione costituzionale pare non avere responsabili, né qualcuno interessato a ottenere chiarezza. Eppure si tratta della più grande catastrofe che si è abbattuta sui conti pubblici: le baby pensioni, misura simbolo di un’epoca di dissolutezza fiscale, sono costate circa 130 miliardi in 50 anni; il Superbonus e il Bonus facciate sono costati rispettivamente 143 e 26 miliardi, per un totale di quasi 170 miliardi, in tre anni.


Questa sciagura che, nella metafora di Giorgetti sembra un incidente nucleare che continua a emettere radioattività nel tempo, peserà molto sulla politica economica del paese: nei prossimi tre anni, fino al picco del 2026, i bonus edilizi peseranno per oltre 30 miliardi l’anno. Quanto una manovra. Risorse che non potranno essere usare per abbassare le tasse, investire in ricerca, istruzione o sanità perché c’è da pagare la rata del “mutuo Superbonus”. Tutto questo ha evidenti responsabilità politiche, che sono soprattutto di chi ha ideato e messo in moto questo meccanismo senza freni (governo Conte/Gualtieri) e poi anche di chi si è succeduto senza riuscire a fermarlo nonostante le forti critiche (Draghi/Franco e Meloni/Giorgetti). Ma ci sono anche delle evidenti responsabilità tecniche, che non elidono quelle politiche ma si aggiungono a esse, da parte di chi nel 2020 ha “bollinato” questa misura sbagliando le stime del suo costo tre-quattro volte.

Il Ragioniere dello stato doveva forse dimettersi nel 2020 quando, abbandonato dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, cedette alle pressioni di Palazzo Chigi guidato da Giuseppe Conte per far passare una norma che aveva un costo indefinito e potenzialmente infinito. Dovrebbe certamente dimettersi ora perché, non dimettendosi allora, è venuto meno al suo compito istituzionale. È difficile nascondere le responsabilità di un buco di bilancio se è grande oltre 100 miliardi di euro.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali