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Le stime sballate sul Superbonus della Ragioneria dello Stato e la credibilità di Mazzotta

Luciano Capone

L’abisso contabile dei bonus edilizi è sicuramente del governo Conte, ma il compito istituzionale del Ragioniere è proprio impedire che catastrofi fiscali del genere si verifichino. Può ancora restare al suo posto chi ha sbagliato le previsioni di decine di miliardi?

Dal Mef, persone vicine al ministro Giancarlo Giorgetti smentiscono il chiacchiericcio e assicurano che il Ragioniere dello stato Biagio Mazzotta “non si tocca”, perché è una “garanzia” per la credibilità dell’Italia sui conti pubblici. I dati sul Superbonus, però, suggeriscono il contrario. Nel senso che la Ragioneria dello stato sarebbe dovuta essere la garanzia sulla finanza pubblica e non lo è stata.

 

I dati pubblicati nei giorni scorsi dal Corriere della Sera sull’evoluzione della spesa per i bonus edilizi mostrano uno spaccato inquietante. Al netto del tema “frodi”, che è quasi marginale rispetto allo sconquasso di ciò che legalmente non è una truffa, la spesa è completamente fuori controllo: circa 78 miliardi di euro in più rispetto alle stime iniziali. Il Bonus facciate, quello voluto da Dario Franceschini per abbellire i palazzi in centro, sarebbe costato 26 miliardi anziché i 5,9 miliardi stimati all’inizio. Il Superbonus, quello voluto da Giuseppe Conte per rifare le case “gratuitamente”, sarebbe costato (a ora) 93 miliardi anziché i 35 miliardi inizialmente previsti. Complessivamente, l’impatto sul bilancio statale di tutti i bonus edilizi dal 2020 ad agosto 2023 sarebbe di 149 miliardi di euro anziché i 71 miliardi preventivati nelle relazioni tecniche dei provvedimenti in questione. Una cifra che ormai raggiunge quasi i 190 miliardi del Pnrr, che però è un piano di spesa diluito su un arco temporale più ampio.

Si tratta, a tutti gli effetti, di una catastrofe contabile provocata da un meccanismo incontrollato di crediti fiscali che come una talpa ha scavato sotterraneamente delle voragini nel bilancio dello stato. Pur non considerando questi dati ufficiosi, ma rimanendo ai numeri ufficiali depositati a maggio dal Mef in audizione alla Camera, quando la differenza di impatto della spesa si discostava di “soli” 45 miliardi di euro anziché degli attuali 71 miliardi, si vede come i bonus edilizi abbiano ipotecato se non il futuro del paese quantomeno la politica fiscale ed economica di questa legislatura. Secondo i dati del Mef, i bonus edilizi calcolati fino a maggio peseranno sul fabbisogno dello stato per 18,6 miliardi nel 2023; 22 miliardi nel 2024; 23,6 miliardi nel 2025; 24,5 miliardi nel 2026 (poi il costo scende notevolmente a 7 miliardi fino ad azzerarsi nel 2035). Si tratta di cifre impressionanti, circa 22 miliardi ogni anno (oltre 1 punto di pil) nel periodo 2023-2026, quello in cui si concentrano le rate del Superbonus. E, ripetiamo, è un calcolo che si basa su un costo complessivo che nel frattempo sarebbe aumentato di altri 26 miliardi. In pratica il costo si avvicina a 30 miliardi l’anno, il valore di una manovra finanziaria. Per cinque anni.

 

Com’è stato possibile che la Ragioneria dello stato abbia cannato in questa misura le previsioni? Probabilmente ha considerato l’evoluzione dei vecchi ecobonus, senza considerare che il combinato disposto dell’agevolazione fiscale al 100% e della cedibilità del credito hanno cambiato notevolmente la struttura degli incentivi facendo esplodere la spesa. Ma era così difficile prevederlo? O era una banalità? Basti considerare che in quegli stessi mesi, prima dell’approvazione del Superbonus l’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb) metteva in guardia i decisori politici sul rischio di sottovalutare i costi a fronte di storture così evidenti. Il problema è che l’Upb ha solo un ruolo consultivo, che i politici spesso ignorano, mentre la Ragioneria aveva e ha il potere attraverso la “bollinatura” di bloccare l’introduzione di spese senza coperture. In sostanza, il suo compito istituzionale è proprio quello di impedire al governo e al Parlamento l’approvazione del Superbonus.

 

Mazzotta, che inizialmente ha provato a opporsi al Superbonus, ha poi ceduto – in un periodo critico come la crisi Covid – alle pressioni di Palazzo Chigi. Ma questa non può essere una giustificazione. Sarebbe scorretto fare del Ragioniere un capro espiatorio. Perché le responsabilità maggiori di questo disastro sono del governo Conte in primo luogo e della classe politica in generale, che indistintamente ha approvato il Superbonus. Ma ci sono delle responsabilità dell’alta burocrazia che non possono essere nascoste o sottaciute. Che la Ragioneria abbia fallito clamorosamente nella sua missione lo ha confermato, seppure indirettamente, lo stesso Mazzotta che in audizione alla Camera ha detto che per il futuro bisogna “dotarsi di modelli di valutazione ex ante dell’impatto è fondamentale”.

Era fondamentale anche per il passato. Ma questo precedente pone un problema di credibilità pure per il futuro. Se Mazzotta resta al suo posto è perché è un Ragioniere dello stato forte o debole? Dopo essersi piegato al governo Conte sul Superbonus, avrà la capacità di opporsi a eventuali forzature del governo Meloni?

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali