spese pazze

Superbonus? La difesa della ragioneria di stato fa acqua da tutte le parti

Luciano Capone

Mazzotta risponde alle critiche sulle previsioni sballate sui costi dei bonus edilizi scaricando le responsabilità sul Mef. Ma resta una domanda senza risposta: cosa è cambiato affinché un disastro del genere non si ripeta?

Per la prima volta, dopo tre anni di silenzio e sonnolenza, il paese inizia a discutere e riflettere sui danni prodotti dalla stagione dei bonus edilizi. Sul Corriere della Sera, in un articolo di Federico Fubini, si parla delle responsabilità della Ragioneria generale dello stato (Rgs), ora nell’occhio del ciclone delle critiche politiche, che avrebbe potuto bloccare un provvedimento di spesa che si è rivelato molto più costoso del previsto (circa 70 miliardi in più, per effetto di Superbonus e Bonus facciate). La versione del Ragioniere dello stato Biagio Mazzotta, che risponde indirettamente anche alle critiche sollevate su questo giornale, si basa essenzialmente su tre elementi.

 

Il primo è che la Rgs ha avvisato il governo, con un documento dell’11 ottobre 2022, della voragine che si era aperta nei conti pubblici, scrivendo: “La differenza tra gli oneri aggiornati sulla base delle informazioni più recenti (...) risulta pari a 37,7 miliardi di euro e dipende interamente dagli effetti relativi al Superbonus e al Bonus facciate”. Il secondo è che Mazzotta, sin dall’inizio, ha avvisato tutti i governi del rischio – che poi si è materializzato – di una riclassificazione dei crediti fiscali come “pagabili” a causa della cessione illimitata prevista dal dl Rilancio, cosa che avrebbe poi avuto un impatto contabile sul deficit. I pareri contrari della Rgs, però, sono stati ignorati.

 

Questi due punti, sicuramente importanti, non risolvono però la questione principale. Cioè l’enorme sottovalutazione dei costi iniziali dei bonus edilizi. Nel primo caso, infatti, il report della Rgs arriva a ottobre 2022 – siamo al governo Meloni – quando ormai i buoi erano scappati (37,7 miliardi di buoi, all’epoca). Nel secondo caso, invece, il tema della pagabilità è certamente una questione rilevante, che però ha un effetto solo sulla contabilizzazione della spesa ma non sull’indebitamento complessivo. Resta inevaso il punto fondamentale: se la Rgs avesse fatto proiezioni di spesa un pochino più vicine alla realtà, non avrebbe dovuto “bollinare” il decreto Superbonus e quindi avrebbe impedito il disastro che si è poi abbattuto sui conti pubblici.

 

Ed è qui che arriva il terzo punto della difesa della Rgs. La sottovalutazione dei costi è stata enorme, le previsioni erano completamente sballate, ma le stime ex ante erano state elaborate, per regolamento, dal Dipartimento Finanze del Mef e la Rgs, non avendo avuto accesso ai modelli usati dai colleghi del Mef, non ha potuto fare altro che “bollinare” quella relazione tecnica che si è poi rivelata fallace per una cifra abnorme. Ma lo scaricabarile non può funzionare. Al limite c’è un concorso di colpa. Perché con la “bollinatura” la Rgs si è assunta la responsabilità delle stime prodotte dal dipartimento Finanze.

 

D’altronde la ripartizione dei ruoli è molto chiara, ed è spiegata proprio sul sito della Rgs: è vero che la relazione tecnica deve essere predisposta dall’Amministrazione competente, ma “la verifica di tale relazione viene effettuata dalla Ragioneria generale dello stato, la quale, una volta riscontrata la corretta quantificazione dell’onere recato dal provvedimento nonché l’idoneità della relativa copertura finanziaria appone, tramite la bollinatura posta dal Ragioniere generale dello Stato, il proprio visto di conformità senza il quale il provvedimento non può essere controfirmato dal Presidente della Repubblica e trasmesso alle Camere”. Semplice. Anche perché se la Rgs non potesse mettere in discussione le stime dei ministeri sarebbe un passacarte.

 

Restano due quesiti inevasi. Il primo è perché, rispetto a un bonus al 110 per cento e con cessione illimitata del credito, che quindi cambiava strutturalmente la forma degli incentivi, la Rgs non abbia richiesto – per tutelare i conti e l’art. 81 della Costituzione – un tetto alla spesa. Un po’ come accade per tutti i bonus, di gran lunga meno onerosi, dai monopattini alle auto elettriche: quando finiscono i soldi finisce il bonus. Era una cautela minima. Invece si è preferito l’azzardo di lasciare il rubinetto aperto. L’altro quesito è se nel frattempo è stata imparata la lezione, se il Mef ha adeguato i propri modelli previsionali e se le sue strutture hanno iniziato a comunicare. A maggio, in audizione alla Camera, il ragioniere Biagio Mazzotta disse che “è fondamentale dotarsi di modelli di valutazione ex ante dell’impatto”. Al suo fianco c’era il dg del Dipartimento Finanze Giovanni Spalletta, ovvero la struttura che non avrebbe messo a disposizione i dati alla Rgs.

 

Senza avviare una caccia alle streghe sulle responsabilità, ciò che Rgs e Mef dovrebbero chiarire è cosa è cambiato nei modelli e nelle procedure, cosa cioè garantisce che non si verificherà nulla del genere in futuro. Nessuno dei parlamentari in audizione ha posto questa domanda, ma è la vera risposta che manca.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali