Confindustria critica il Superbonus, dopo averlo elogiato e sostenuto per anni

Luciano Capone

“È incredibile aver speso tutti quei soldi", dice ora Bonomi. Ma gli industriali erano favorevoli al bonus 110 per cento, ne chiedevano la proroga dopo che la spesa è esplosa e hanno protestato a ogni stretta. Sul disastro dei bonus edilizi serve un'assunzione di responsabilità di tutti

Ormai a difendere il Superbonus è rimasto solo Giuseppe Conte. Questo da un lato indica una sorta di consapevolezza della scelleratezza della politica dei bonus edilizi da parte di tutti gli altri attori politici e sociali, ed è certamente positivo. Ma dall’altro lato rappresenta un vasto tentativo di cancellare le tracce del proprio sostegno a queste misure, costate finora 120 miliardi di euro (solo Superbonus e Bonus facciate), che non è certo edificante.

 

Un esempio di questa pratica è certamente Confindustria, la principale organizzazione delle imprese italiane. Intervistato sabato scorso dal Corriere della Sera, a Federico Fubini che gli faceva notare come è ora difficile per l’Italia chiedere all’Europa più spazio fiscale dopo aver speso quella montagna di miliardi, Carlo Bonomi ha dato una risposta netta: “È incredibile averli spesi senza una quantificazione ex ante un minimo realistica. Se ne avessimo usato una parte per rafforzare il nostro sistema industriale, il nostro potenziale produttivo e tecnologico, le prospettive di crescita sarebbero diverse”. La posizione chiara del presidente di Confindustria è corretta, se solo fosse stata quella dell’associazione che presiede dal 2020, l’anno in cui venne varato il Superbonus.

 

La realtà, invece, è che Confindustria ha finora tenuto sui bonus edilizi la stessa posizione di Conte. Anzi, ha contribuito a disegnare la politica del M5s e l’ha sostenuta finché ha potuto e anche oltre. A luglio 2020, commentando in audizione il Dl Rilancio che introdusse l’incentivo al 110 per cento, Confindustria espresse il suo “apprezzamento” per il Superbonus definendolo “l’unica vera misura di rilancio degli investimenti”. Eravamo nel pieno della crisi Covid, si dirà, ma questa è stata la posizione di Confindustria per molti anni a venire. Il 13 maggio 2021 in audizione alla Camera, il vicepresidente di Viale dell'Astronomia, Emanuele Orsini, diceva che “il Superbonus è come il motorino di avviamento delle autovetture, prima mettiamo in moto, prima l’economia riparte. La misura riveste un’importanza cruciale per almeno cinque ragioni”. Le cinque ragioni sono, all’incirca, quelle che ancora propaganda il M5s ma che Bonomi, saggiamente, oggi si vergogna di ripetere. In quella sede, Orsini chiedeva al Parlamento di prolungare a lungo il bonus al 110 per cento: “Ribadiamo l’assoluta importanza di prorogare il Superbonus almeno fino al 31 dicembre 2023”, chiedendo però dei correttivi. Che non puntavano a una riduzione della spesa, ma a un suo aumento: “Il governo ha già allocato risorse per 22,26 miliardi su questo strumento, ci aspettiamo siano incrementate il prima possibile”.

 

A proposito dell’assenza di una quantificazione ex ante “un minimo realistica” della spesa denunciata ora da Bonomi, Confindustria i suoi conti li aveva fatti. “Secondo le stime del nostro Centro studi – diceva alla Camera il vicepresidente Orsini – l’agevolazione attiverà in due anni 18,5 miliardi di spese con un impatto positivo sul pil pari a circa l’1 per cento”. L’impatto sul pil alla fine si è rivelato corretto, dato che 1 per cento in due anni è anche la stima dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, solo che il costo è arrivato a 93 miliardi: cinque volte più dei 18 stimati da Confindustria. In uno studio per il governo Conte la Luiss Business School, l’università di Confindustria, aveva stimato all’incirca la stessa crescita (16,6 miliardi) con la metà della spesa (8,75 miliardi in un triennio): la spesa è stata dieci volte superiore.

 

Non solo era strafavorevole alla misura, stimava un impatto di gran lunga superiore a quello del Mef (rivelatosi esagerato) e chiedeva la proroga del bonus. Ma Confindustria si ribellava quando il governo Draghi pensava di tagliare il bonus: “Sembra che da parte del governo non ci si la volontà di prorogare il Superbonus fino a dicembre 2023 – dichiarò ad aprile 2021 il vicepresidente Orsini –. Sarebbe un gravissimo errore perché danneggerebbe il settore delle costruzioni, che è volano dell’economia”. Confindustria si è infine opposta anche alla decisione del governo Meloni di dare, a febbraio, una stretta alla misura che ormai aveva devastato i conti dello stato: a marzo 2023, in audizione, la dg Francesca Mariotti ancora elogiava l’impatto del Superbonus e criticava il governo per “le modalità con cui è stato attuato il repentino blocco delle operazioni di sconto in fattura e cessione”.

 

Sulla vicenda dei bonus edilizi servirebbe un’assunzione di responsabilità e un’operazione di autocritica, in primis da parte del governo e delle forze politiche che li hanno introdotti, ma certamente anche da parte delle opposizioni e delle organizzazioni economiche. Perché un disastro economico di tale portata – 120 miliardi di euro, pari a 6 punti di pil, spesi per rifare il 3,5 per cento di case – non sarebbe stato possibile senza un consenso ampio e trasversale. Se queste cose Confindustria le avesse dette due o tre anni fa, forse ora sarebbe più credibile.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali