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Politici e magistrati: meno porte girevoli, più separazione dei poteri

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Il lavoro, se vuole, se lo trova da solo. Ah, anche navigator?
Giuseppe De Filippi

 


Al direttore - Il tema delle “porte girevoli” ha una valenza generale. Viene affrontato molto limitatamente da alcune leggi, ma è stato con efficacia vietato con il protocollo Tesoro-Acri, a suo tempo promosso da Giuseppe Guzzetti, per gli incarichi nelle fondazioni e nelle banche partecipate. Fu paradossalmente introdotto con una leggina per dare modo, in via eccezionale, data la personalità del beneficiario, a Luigi Einaudi di tornare alla testa della Banca d’Italia una volta dismesso l’incarico di vicepresidente del Consiglio e di ministro delle Finanze. Ma Einaudi non se ne avvalse perché fu eletto presidente della Repubblica. Ora il progettato divieto per i magistrati che ricoprono incarichi politici di tornare a svolgere la funzione giurisdizionale non potrebbe essere limitato a quelli “ordinari”, ma dovrebbe riguardare pure i magistrati della giurisdizione amministrativa e della Corte dei conti. Non solo, se si vuole veramente stabilire un netto regime di distinzione di compiti e di funzioni, il divieto del “ritorno” dovrebbe applicarsi anche ai magistrati che, oggi distaccati, svolgono funzioni di consulenza o di altro tipo presso ministeri ed enti. “Age quod agis”: fai ciò che hai scelto di fare con un concorso e assumiti le conseguenze dell’accettazione di un diverso compito: dovrebbe essere, questa, la linea. Smagliature e spiragli nell’assetto dei divieti farebbero venir meno l’intera impalcatura e acuirebbero i possibili rilievi di illegittimità costituzionale. Con i migliori saluti.
Angelo De Mattia


Su questo tema, vale la pena rileggersi cosa ha detto Sergio Mattarella, intervenendo alla Scuola superiore della magistratura di Scandicci lo scorso 24 novembre. “La garanzia dell’indipendenza della magistratura – elemento irrinunziabile nel modello della Costituzione – risiede nel prestigio che gli viene riconosciuto e nella coscienza dei cittadini. E’ un terreno sul quale non sono ammesse esitazioni o incertezze: la magistratura è chiamata, in questo periodo, a rivitalizzare le proprie radici deontologiche, valorizzando l’imparzialità e l’irreprensibilità delle condotte individuali; rifuggendo dalle chiusure dell’autoreferenzialità e del protagonismo”. E l’indipendenza della magistratura passa anche da qui: separare non solo le carriere dei giudici e dei magistrati, ma anche quelle dei politici e dei magistrati – in attesa un giorno di separare anche altre carriere, quelle dei magistrati e quelle dei giornalisti. Meno porte girevoli uguale più separazione dei poteri. 

 



Al direttore - “Nel confronto col governo e le imprese vogliamo lanciare un messaggio secco: basta precarietà”. Ecco l’ukase di Maurizio Landini alla Conferenza di organizzazione della Cgil in corso a Rimini. “Bisogna porre fine a questa forma di lavoro che impedisce qualsiasi progetto di vita a tanti giovani, tante donne, che ostacola la crescita e lo sviluppo del Mezzogiorno. Basta precarietà vuol dire cancellare forme di lavoro che negano la dignità delle persone e ne favoriscono lo sfruttamento”. Gli ha fatto eco il “compagno” della Uil che ha “bombardato” i contratti a termine. Nelle stesse ore Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat segnalava l’esistenza di “un milione di posti non occupati, perché non ci sono soggetti che hanno requisiti giusti”. Le imprese sostengono che la mancanza di personale è uno dei principali handicap per la crescita. Infine da mesi i media commentano il fenomeno delle “grandi dimissioni” (in numero maggiore dei temuti licenziamenti di massa) come se fosse una “fuga dall’Egitto” dal giogo del lavoro. Per i sindacati, tutto ciò non esiste; come del resto la società che loro descrivono.
Giuliano Cazzola

 


Al direttore - Dopo molte ore di discussione in un confortevole hotel romano, assistiti da uno stuolo di legali, Grillo e Conte hanno trovato un accordo: il M5s farà ricorso contro la sentenza del tribunale di Napoli. Bisogna riconoscerlo, si tratta di una decisione memorabile.
Michele Magno

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