Borrelli e le democrazie parlamentari che diventano teocrazie giudiziarie

Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 23 luglio 2019

Al direttore - Ma manco i treni in orario!?

Giuseppe De Filippi

 


 

Al direttore - Tutti o quasi hanno ricordato Francesco Saverio Borrelli, capo del “pool Mani pulite” con tre sue parole che, poi, sono una sola ripetuta tre volte: “Resistere, resistere, resistere”. Per capirne meglio il significato e la portata, ho voluto ricongiungerle alla frase in cui compaiono; cosa abbastanza facile perché si tratta di non più di quaranta parole in tutto. Eccola, la frase: “Ai guasti di un pericoloso sgretolamento della volontà generale, al naufragio della coscienza civica nella perdita del senso del diritto, ultimo estremo baluardo della questione morale, è dovere della collettività resistere, resistere, resistere come su una irrinunciabile linea del Piave”.

Accidenti! Il breve ma ferreo ragionamento prende le mosse dalla “volontà generale”, così sinteticamente definita nel Dizionario Treccani: “Nella teoria politica democratica moderna, concetto basilare, inizialmente elaborato dal pensatore svizzero J. J. Rousseau (1712-1778), che indica la volontà del corpo politico, considerato come persona pubblica e in cui ciascun membro è parte indivisibile del tutto”. Una volta cioè verificata per via democratica, la “volontà generale” non tollera più riserve; diventa per tutti vera e giusta e tutti devono considerarla tale. Fu la faticosa comprensione di questo vincolo – ai miei occhi incompatibile con ogni forma di pluralismo e minaccioso per le libertà individuali – a indurmi in anni lontani a una dolorosa presa di distanza dal pensiero di Rousseau che pure avevo frequentato e amato.

Sarebbe far torto a Borrelli pensare che abbia usato quell’espressione senza averne ben chiaro lo spessore e le implicazioni; tanto più che a esaltarne tutta la “pregnanza” roussoviana c’è quel “sgretolamento”; per dire che senza il rispetto, il culto della stessa “volontà generale” questa degrada, si disperde; e si apre, così, la strada ai peggiori guasti e pericoli. Quando questo avviene è in gioco la stessa salus rei publicae; a difesa della quale c’è solo “il senso del diritto, ultimo estremo baluardo della questione morale”. Pochissime parole saldano in modo indissolubile gli anelli della catena: il “senso del diritto” è l’antidoto allo “sgretolamento” della “volontà generale”. Non si può dunque restringerlo al semplice “rispetto della legge” perché in realtà è un estremo baluardo; a difesa di cosa? della giustizia? No, sarebbe troppo poco: a dover essere difesa è la “questione morale” che emana dalla “volontà generale”. Il “senso del diritto”, in sostanza, tiene insieme la “volontà generale” e la “questione morale”; anzi tutela l’una e l’altra. Chiarito questo è piuttosto semplice derivare quale sia per Borrelli la funzione, il dovere, la “missione” dei magistrati. E’ riassunta qui tutta una concezione della società, del potere, della morale e – a seguire – della democrazia, della politica, della giustizia; una visione compatta e dura che riguarda il pensiero dell’intellettuale prima che gli atti del magistrato Borrelli; anche se – come avviene per tutti – non è arbitrario ipotizzare un rapporto fra il primo e i secondi.

Per il rispetto che gli si deve mi sembra giusto riconoscergli la forza e la coerenza delle idee cui si è ispirato. Per farlo basta leggere con attenzione quelle quaranta parole e non limitarsi a ripeterne tre.

Claudio Petruccioli

Quando un magistrato agisce in nome della volontà generale, le sue azioni devono essere necessariamente spettacolari, i suoi gesti devono essere necessariamente esemplari e le sue battaglie devono essere necessariamente finalizzate a rispettare non tanto ciò che prescrive il codice penale ma quanto ciò che prescrive il codice della morale. Ma quando la giustizia si mescola con la morale i magistrati non agiscono più in nome del popolo ma agiscono semplicemente in nome del populismo. E una Repubblica parlamentare che si trasforma in una repubblica giudiziaria è una repubblica in cui la teocrazia si sostituisce alla democrazia. Anche no, grazie.

 


 

Al direttore - Tutti i giornaloni lo hanno celebrato. Gli stessi gruppi editoriali che allora appoggiarono la grande farsa avendo i padroni sotto lo schiaffo del pool in cambio di una sostanziale impunità. Do ut des. In più il Manette Daily che ai tempi non c’era e il Manifesto giornale senza memoria e senza nemmeno il rispetto della sua storia. Agli smemorati ricordo che l’integerrimo melomane per diventare capo della procura aveva baciato la pantofola di Bettino al quale poi fu negata la possibilità di curarsi in Italia. Una condanna a morte.

Frank Cimini

 


 

Al direttore - Con la morte delle persone tutti i salmi finiscono in gloria. A Francesco Saverio Borrelli va riconosciuto di aver svolto un ruolo importante nella storia del paese; ma la sua Dike non era completamente bendata né la sua bilancia in equilibrio. Quanto alluso della spada ovvero alla pretesa applicazione del principio “Pereat mundus, iustitia fit’’, qualche cosa, ai tempi di Tangentopoli, non deve aver funzionato, perché il mondo sopravvissuto e quello nuovo sono stati di gran lunga peggiori di quello antico.

Giuliano Cazzola

 


  

Al direttore - Che l’opposizione sia interessata a far emergere contrasti e divisioni tra M5s e Lega mi pare scontato. Del resto le divisioni tra i contraenti della maggioranza parlamentare attengono a questioni di fondo della vita del paese e si manifestano platealmente al di là della iniziativa della opposizione. Il vero problema è che alla crisi della maggioranza tra populisti e sovranisti non corrisponde l’emergere di una credibile alternativa politica. Questo consente al governo di tirare a campare più che gli equilibrismi di Conte il quale, secondo Paolo Mieli, oggi avrebbe a disposizione due maggioranze addirittura, l’una con i leghisti e l’altra senza Salvini ma con Zingaretti. Una condizione che gli consentirebbe di restare a Palazzo Chigi ancora per un bel pezzo rassicurando i grillini che, impauriti da una eventuale prova elettorale, mostrano di aver messo giudizio. Lasciamo da parte le ricostruzioni fantasiose della vicenda politica. La questione di fondo con cui deve fare i conti il Pd è la costruzione di una alternativa in cui gli italiani possano riconoscersi. Qui comincia la discussione. Per Franceschini l’alternativa non potrà che consistere in una intesa tra il Pd e 5 stelle. Egli considera la madre di tutti i guai più che la sconfitta del Pd il 4 marzo del 2018, non aver dato vita, dopo quel risultato, alla alleanza tra Pd e Di Maio. In realtà dovrebbe essere chiaro a tutti ormai che una scelta del genere, se mai fosse stata possibile, avrebbe condotto all’esaurimento politico ed elettorale del Pd. Ho il timore che sfugga a Franceschini la portata delle divergenze tra Pd e 5 stelle. Ne ricordo solo tre che considero cruciali: la strategia distruttiva dell’assetto democratico che persegue il 5 stelle con la proposta del referendum propositivo e senza quorum che lede il principio di rappresentanza su cui si è retta la democrazia in Italia ed Europa; un indirizzo di politica economica condizionato da preconcetti ostili all’industria e da una suggestione rovinosa alla decrescita; stravaganti proposte di politica estera. Su che basi potrebbe reggere una simile alleanza? Non andrebbe lontano, non aiuterebbe né il paese né la democrazia italiana. Farebbe solo fare salti di gioia a Salvini! Parliamoci chiaro: la costruzione dell’alternativa comporta un duro lavoro. Il Pd deve riconquistare il profilo di una forza capace di guardare al di là della propria storia, puntare a insediarsi in uno spazio politico più largo del bacino di consenso originario, a rivolgersi ai tanti che, da versanti diversi, si interrogano sulle sorti dell’Italia e temono il governo della decrescita e della crisi finanziaria. Farlo avanzando proposte senza vincoli verso vecchi schematismi per rispondere ai problemi che l’Italia affronta nella grande transizione in cui è immersa. Non serve inseguire ciò che rimane di 5 stelle o varianti locali del populismo. Il Pd deve tornare a occuparsi della società italiana: crescita, investimenti, occupazione, Mezzogiorno, riforma della giustizia. Chi ha più filo tesserà. Questo è l’unico modo per affrontare gli sviluppi della vicenda politica ed eventualmente una prova elettorale anticipata.

Umberto Ranieri

Di più su questi argomenti: