Di Maio ammette l'incapacità del governo. La democrazia muore nel buio: indizi

Al direttore - E’ sempre più paradossale la posizione dei nostri due consoli (Di Maio e Salvini) nei confronti dell’Europa. Per un verso essi presentano una somma di realizzazioni programmatiche (flat tax, reddito di cittadinanza, revisione della Fornero, blocco dell’Iva) che – in assenza di tagli alla spesa pubblica – implicano sforamenti largamente superiori ai 70 miliardi di euro. Già il solo effetto annuncio di queste misure ha provocato come reazione dei mercati, non dell’Unione europea, ripetuti aumenti degli spread. Per non farsi mancare nulla i due consoli aggiungono che sicuramente bucheranno il 3 per cento: lo dicono contraddicendo il ministro del Tesoro Tria il quale sa bene che brutta bestia sono i mercati, indipendentemente anche dalla ottusità manifestata da alcuni esponenti dell’Unione europea che hanno le loro responsabilità nella situazione che si è determinata con riferimento non tanto al presente quanto al passato. Poi il più colto e documentato dei due consoli – è chiaro che ci riferiamo a Di Maio – ha sparato una cifra sbagliata, 20 miliardi, su versamenti che faremo all’Unione mentre invece quelli netti sono di 3/4 miliardi. Per di più se ci si mette su questo terreno emerge che i paesi di Visegrád ricevono dall’Unione europea molto di più di quello che versano. Infine i nostri due consoli hanno già preannunciato il voto contrario a un bilancio che deve essere ancora elaborato. Avendo creato tutte le premesse di uno scasso non solo i due consoli ma anche il sottosegretario Giorgetti hanno la faccia tosta di denunciare in anticipo l’esistenza di un complotto a livello europeo che farebbe aumentare lo spread e creerebbe altre situazioni difficili. In sostanza ci troviamo di fronte a gente che va in giro con taniche di benzina e con cerini accesi preannunciando che c’è il rischio di incendi.

Fabrizio Cicchitto

“Se dovesse esserci un attacco speculativo – ha detto Luigi Di Maio – sarà per ragioni politiche, perché sulle ragioni economiche del nostro Paese siamo molto tranquilli”. Evidentemente, ha segnalato giustamente il nostro Luciano Capone, il vicepresidente del Consiglio non si rende conto di quello che dice, come spesso gli capita, ma di fatto sta ammettendo che se ci sarà una crisi economica sarà solo per colpa del governo. E per una volta tocca dargli ragione.

 


 

Al direttore - Ho apprezzato e condiviso l’articolo di Guido Tabellini sulla “sindrome di Weimar’’ della quale sarebbe affetto il nostro paese. Vorrei aggiungere un ulteriore elemento di contesto internazionale. Alla fine della Grande guerra, negli Stati Uniti, il cui intervento nel conflitto fu decisivo per la sconfitta della Germania, prevalsero le vocazioni isolazioniste. Il presidente Woodrow Wilson si vide bocciare dal Congresso quel trattato istitutivo tra l’altro della Società delle nazioni del quale era stato ideatore e protagonista. Così, priva di un’adeguata leadership, l’Organizzazione di Ginevra si rivelò ben presto impotente e divenne oggetto di scherno e contumelie da parte dei nascenti regimi dittatoriali (il leitmotiv delle “inique sanzioni’’ contro l’aggressione italiana all’Etiopia, non ricorda forse le accuse rivolte all’Unione che vuole imporci il rigore?). Oggi, la politica di Donald Trump non si limita all’isolazionismo dell’America first (lo stesso slogan del movimento fondato da Charles Lindbergh, il trasvolatore, avversario di Franklin Delano Roosevelt), ma considera le istituzioni europee un nemico da combattere e annientare. Tanto che Steve Bannon, il suo ideologo, è venuto in Italia a complimentarsi perché da noi è riuscita l’operazione di mettere insieme i populismi di destra e di sinistra. Ha ragione Angelo Panebianco: il virus della malattia lo abbiamo importato da Washington. E lo si potrà curare solo da lì.

Giuliano Cazzola

Democracy dies in the darkness.

 


 

Al direttore - Una delle cose che apprezzo maggiormente del Foglio è la preparazione, talvolta davvero ammirevole, dei suoi giornalisti. Debbo tuttavia rilevare che questa regola non sembra purtroppo valere sempre. Ieri Ermes Antonucci ha criticato l’istruttoria aperta dall’Autorità anticorruzione dopo il crollo del ponte Morandi in quanto “non vi è alcun indizio di possibili comportamenti corruttivi (i soli che potrebbero ricadere sotto la sua competenza)”. Resto a dir poco perplesso, caro direttore: ma davvero al Foglio (proprio al Foglio!) c’è chi ancora non sa che l’Anac per legge si occupa di vigilanza sulla regolarità degli appalti pubblici, a prescindere dal verificarsi di fatti corruttivi? E cosa sono quelli che ha bandito (o avrebbe dovuto bandire) la concessionaria del servizio autostradale? Sono certo che quello di Antonucci è solo un refuso con cui ha involontariamente raccolto affermazioni altrui, che spesso vengono ripetute nell’ignoranza del dato normativo. A costoro (e non certo al Foglio o ad Antonucci) mi verrebbe voglia di regalare una copia del Codice degli appalti per leggere quali sono i poteri dell’Anac. Sarebbe però una spesa inutile, perché resterebbe sicuramente chiuso in qualche cassetto. I miei più cordiali saluti.

Raffaele Cantone

 

Dispiace che Cantone guardi il dito anziché la luna delle critiche espresse nell’articolo. Guarda il “dito” rappresentato da un passaggio finalizzato a sottolineare che ai tempi della sua intervista alla Stampa, poche ore dopo il crollo del ponte, non vi era alcun indizio su possibili comportamenti corruttivi o irregolari nella gestione degli appalti di Autostrade, tanto che il dibattito pubblico e politico si incentrava sul tema della possibile revoca della concessione ad Autostrade da parte dello stato. Inoltre, nella sua replica Cantone nulla dice sulla “luna” contenuta nell’articolo, cioè sulle critiche alla sua onnipresenza mediatica e politica e al suo intervento a gamba tesa (“Privatizzazioni da rivedere”) nella diatriba politica che si stava svolgendo in quelle ore. Accogliamo l’invito alla rilettura del Codice degli appalti, suggerendo allo stesso tempo di rispolverare dai cassetti le norme che impongono ai funzionari pubblici (ancor più se magistrati in aspettativa) un comportamento ispirato ai principi di prudenza, riservatezza e sobrietà.

Ermes Antonucci

Di più su questi argomenti: