Foto LaPresse

La versione di Cassese

Democrazia e mondo, quello che ancora ci insegna la Costituzione di Weimar

Le leggi non bastano, e per una vera democrazia non basta un popolo. Appunti da una Costituzione del 1919. Parla Sabino Cassese

Carlo Bastasin, nel suo bel libro “Viaggio al termine dell’Occidente. La divergenza secolare e l’ascesa del nazionalismo” (Roma, Luiss University Press, 2019, p. 33) ha riportato una frase di Helmut Kohl: “Sul suolo tedesco bisogna camminare con cautela, perché i demoni sono sepolti poco sotto la superficie”. Quei demoni sono fonti di inquietudine anche in Italia, dove la costituzione di Weimar e la sua fine con Hitler vengono spesso evocate.

Sì, a proposito e a sproposito. I contesti storici sono diversi. L’Italia fu il frutto dell’unione di sette Stati. La Germania era terra di “Kleinstaaterei”, più di duecento ordini politici diversi, su cui dominava la Prussia. La Costituzione tedesca del 1871 aveva molti caratteri di un trattato, non faceva riferimento ai diritti, costituiva un impero con il re di Prussia imperatore, il cancelliere presidente del Bundesrat, affiancato dalla Dieta imperiale. Poi, la Costituzione di Weimar, di cui festeggiamo il centenario, viene approvata a due anni di distanza dalla Rivoluzione d’Ottobre e dopo una guerra perduta.

    

Questo riguarda il contesto. E la genesi?

Fu preparata e approvata molto rapidamente. Le elezioni si tennero il 19 gennaio 1919. L’assemblea costituente lavorò dal 24 febbraio al 31 luglio, data di approvazione della Costituzione, che entrò in vigore l’11 agosto. Il segretario di stato agli Interni, il giurista Hugo Preuss, fu incaricato di preparare il testo a fine 1918, dopo gli eventi rivoluzionari e la proclamazione della Repubblica, e si valse dei consigli di Max Weber. La discussione e approvazione si svolsero non nella capitale Berlino, ma a Weimar (donde la denominazione). La Costituzione durò 15 anni, fino a Hitler (gennaio 1933).

   

La Costituzione di Weimar viene sempre citata per il suo carattere innovativo e per le sue debolezze.

Perché è una delle prime costituzioni “lunghe”, che contiene elenchi di diritti, anche sociali, accanto alle libertà classiche. Carl Schmitt la criticò per i suoi compromessi dilatori e per aver accettato un concetto neutro di legalità, senza prevedere controlli sulle leggi. Nel suo famoso saggio su Legalità e legittimità pubblicato nel 1932, cioè nei giorni della crisi della Costituzione weimariana (ultima traduzione italiana, Bologna, il Mulino, 2018) scrisse che la procedura legislativa formale non può servirsi a piacere della forma della legge. Il concetto di legge non può essere privato di ogni riferimento contenutistico. E questo vale – secondo Schmitt – anche per la Costituzione stessa: la facoltà di effettuare modifiche costituzionali non include la facoltà di sovvertire radicalmente la struttura della Costituzione. Insomma, per Schmitt, nella Costituzione di Weimar mancavano un “nocciolo duro” e la distinzione tra legge e provvedimento. Queste osservazioni hanno grandissima attualità in Italia, oggi, perché il Parlamento è divenuto amministratore.

 

Anche in Italia, la Costituzione di Weimar ha avuto i suoi critici.

Tra cui Costantino Mortati, di cui è stato ripubblicato proprio di recente il volume La Costituzione di Weimar (Milano, Giuffrè, 2019, la prima edizione è del 1946, in preparazione della Costituzione italiana). Mortati osservava che la Costituzione di Weimar mancava di “vera unità”, per “mancanza di fusione tra i motivi assunti come direttivi”. Era quindi pletorica, macchinosa, eterogenea.

 

Quale giudizio se ne può dare oggi?

Elenco punti di debolezza e di forza. Un presidente-notaio, ma eletto direttamente dal popolo e titolare del potere di emergenza. Quindi, apertura a una deriva plebiscitaria o autoritaria. La possibilità di modificare la Costituzione con legge, essendo richiesta solo la presenza dei due terzi dei componenti del Parlamento e una maggioranza di due terzi dei votanti. Un tribunale costituzionale non ben delineato. Tuttavia, una generosa apertura al mondo, contenuta nell’art. 4, che ha ispirato l’articolo 10 della Costituzione repubblicana italiana, secondo cui “principi fondamentali riconosciuti dal diritto internazionale hanno valore di parti integranti del diritto tedesco”.

 

La crisi tedesca e l’avvento del nazismo vanno imputati alla Costituzione di Weimar?

Lo storico Benjamin Carter Hett, nel suo libro The Death of Democracy: Hitler’s Rise to Power and the Downfall of the Weimar Republic (New York, Holt and Co., 2018) sostiene che il nazismo fu una reazione contro le forze internazionali, derivante dal risentimento contro l’Europa per il peso delle riparazioni di guerra imposte a Versailles alla Germania, una protesta contro la finanza internazionale, una reazione all’ingresso di rifugiati dall’Est, conseguente alla Rivoluzione d’Ottobre. Di qui autarchia, espulsione degli immigrati, critica della cospirazione ebraica internazionale, proposte di ergere muri. Tutti motivi che riaffiorano nei nostri giorni. Basta poi leggere quel grande libro che è Die Welt von Gestern (Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo, Milano, Mondadori, 1994), un libro del 1942, di Stefan Zweig, per rendersi conto dell’importanza del decennio degli anni Venti, quello in cui si preparò la conquista del potere da parte dei nazisti.

 

Che lezione possiamo trarne?

La prima è quella indicata da Schmitt. La Costituzione stessa e la legge non bastano. Occorrono principi superiori. L’hanno capito gli autori della Costituzione di Bonn (e di altre costituzioni contemporanee), introducendo quelle che vengono chiamate “Ewigkeitklauseln”, cioè norme costituzionali dette eterne. Noi ne abbiamo solo una nella Costituzione (quella che impedisce di tornare alla forma monarchica), ma la Corte costituzionale, in alcune sentenze di qualche tempo fa, ha stabilito che i principi contenuti nei primi articoli della Costituzione (ad esempio, quello di eguaglianza) non possono essere oggetto di revisione costituzionale. La seconda lezione è che per una vera democrazia non basta il popolo, non basta un popolo. La democrazia deve poter contare su forze ulteriori, sovranazionali, di altri paesi. Questo ha portata alla costituzione dei fondi dell’Onu e dell’Unione europea per lo sviluppo della democrazia, nonché alle norme dei trattati europei che impegnano gli organi sovranazionali a salvaguardare le democrazie nazionali. La terza lezione riguarda i “checks and balances”, i controlli reciproci e i reciproci bilanciamenti tra poteri pubblici.

Di più su questi argomenti: