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Un Foglio internazionale

“Il catastrofismo climatico ci condanna al pessimismo e pure all'inazione”

In un saggio, Jacques Lecomte sbertuccia gli argomenti distorti delle star del pensiero ambientalista più radicale. L'intervista pubblicata dal Point

Pianeta “inabitabile” bruciato da estati torride, “sesta estinzione di massa”, guerra dell’acqua, “picco di petrolio”, rifugiati climatici… Proferiti fino a ieri da un piccolo manipolo di attivisti ultra minoritari – scrive Géraldine Woessner – i discorsi apocalittici che annunciano il crollo inevitabile del pianeta si sono diffusi a macchia d’olio, imponendosi nel dibattito pubblico francese. Dinanzi a questa corrente di pensiero, il padre della psicologia positiva e teorico dell’“optirealismo” ecologico, ha pubblicato un libro dirompente e ben documentato. In “Rien n’est joué” (Les Arènes), Jacques Lecomte, membro del consiglio scientifico della Fondation pour la nature et l’homme accanto François Gemenne e Jean Jouzel, esplora le fonti scientifiche più incontestabili. E sbertuccia gli argomenti distorti delle star del pensiero catastrofista moderno, da Pablo Servigne (autore carismatico del bestseller “Comment tout peut s’effondrer”) a Yves Cochet, da Fred Vargas al docente del politecnico Jean-Marc Jancovici, accusati non solo di “avere torto”, ma di “nuocere pericolosamente” alle lotte in favore del clima e della biodiversità. Affermando che non ci sono soluzioni agli sconvolgimenti climatici che subisce il nostro pianeta, i catastrofisti contemporanei incoraggiano la rinuncia a qualsiasi azione di vasta portata. La lucidità è essenziale, il panico paralizza.

Le Point – Come le è venuta l’idea di questo libro in un paese sempre più convinto che il pianeta stia morendo?

Jacques Lecomte – Il movimento catastrofista si è fatto sempre più largo negli ultimi anni, soprattutto tra i giovani, alcuni dei quali sono caduti nella disperazione. Ma la storia recente mostra che l’azione può generare dei risultati considerevoli. Prendiamo la biodiversità. Certo, ci sono delle realtà molto problematiche, come la riduzione degli ecosistemi selvaggi o il declino di uccelli comuni in Europa e in America del nord. Ma allo stesso tempo i progressi ottenuti in questi ultimi decenni per restaurare la biodiversità nei paesi che hanno agito sono impressionanti.  Presto si farà nuovamente il bagno nella Senna, le diverse specie di uccelli scomparsi in Francia negli anni Settanta sono tornate… Il buco dell’ozono, la grande povertà e la fame nel mondo si sono ampiamente ridotti, attraverso l’azione congiunta di ciò che ho ribattezzato il “quartetto vincente della governance”: i servizi pubblici, le imprese, i militanti associativi e la scienza. La crisi climatica può ancora essere fortemente attenuata, l’Ipcc (Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici) lo dice in tutte le lingue. Ma ciò accadrà soprattutto grazie all’azione collettiva su vasta scala, non solo riunendosi in piccole comunità neorurali, come proposto da Pablo Servigne. Sarebbe catastrofico per l’umanità… 

Lei documenta in modo convincente la vastità della disinformazione sui temi ambientali. Il picco di petrolio è un mito, non ci saranno 200 milioni di rifugiati climatici né la scomparsa delle piccole isole…

Gli autori catastrofisti sono abituati a citare degli studi scientifici che in realtà non dicono ciò che loro gli fanno dire. E nessuno va mai a verificare! E’ ciò che invece ho fatto io con la massima onestà e la massima precisione possibili. Per esempio, negli scritti dei catastrofisti, si legge che il metano contenuto nei ghiacci del permafrost rischia di essere liberato dal riscaldamento globale, con una serie di conseguenze terrificanti. Ma i climatologi dell’Ipcc affermano che non esiste nessuna prova secondo cui il riscaldamento globale possa portare a questo. Analogamente, un terzo del Bangladesh non sarà inghiottito dalle acque! La superficie delle terre aumenta al contrario sulla zona costiera, nonostante l’innalzamento del livello degli oceani, perché i fiumi trasportano tonnellate di sedimenti che sfociano nel golfo del Bengala. Le sfide climatiche che deve affrontare il Bangladesh sono immense, ma il paese ha i mezzi e il desiderio di affrontarle: è all’avanguardia nel campo delle innovazioni per resistere alle condizioni avverse, nel rispetto dell’ambiente. Il discorso catastrofista silenzia questa realtà, quando invece dovremmo trarne ispirazione.

Lei pensa che le nostre democrazie siano in pericolo?

Mi risulta difficile rispondere a questa domanda. Ciò che è vero è che il timore di un crollo genera un’angoscia esistenziale che giustifica agli occhi di alcune persone un ritorno a delle politiche autoritarie, con l’idea che non ci sarà altra scelta se non quella di soggiogare le popolazioni… Questa idea è sbagliata. Ed è urgente mostrare che esistono delle soluzioni. L’optirealismo – un ottimismo consapevole dell’entità delle difficoltà – mi sembra l’approccio più sicuro per accelerare l’azione.

 

 

 (Traduzione di Mauro Zanon)

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