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cenone in famiglia

Le liti di Natale prima erano sulla politica, ora sul vaccino. Consigli per non tirarsi il cotechino

Annalena Benini

Con chi parla di cellule di feti umani, di tisane curative, di complotti, non bisogna litigare: bisogna andarsene. Quello che conta è il desiderio semplice di passare un bel Natale con i nonni e le zie e i cugini e i regali, di andare al cinema insieme a vedere il nuovo Spider-Man

Per tutta la vita, circa un’ora prima dei pranzi e delle cene di Natale, con la tavola apparecchiata a metà, qualcuno, di solito una madre, spesso una nonna, a volte perfino un bambino già sull’orlo del pianto, ha detto, a bassa voce: però vi prego, stavolta non litigate. Sulla politica, è il sottinteso di sempre. La risposta è anch’essa identica negli anni: ma figurati, io, con accento insistito sulla parola io, non ci penso proprio, ed è una risposta totalmente fasulla, che in realtà significa: non aspetto altro. Ci sono stati Natali, anche vicinissimi, con in palio un premio in denaro per chi riusciva ad arrivare alla cena di Santo Stefano (quella in cui si dichiara di voler digiunare e poi alle venti e quindici ci si avventa sugli avanzi del pranzo) senza avere pronunciato la parola: berlusconismo, e quindi senza tutte le gradazioni di crisi conseguenti, dall’ironia al sarcasmo alle urla alle lacrime, fino a: ti diseredo – durante una rissa fra zie nostalgiche berlusconiane, cugini antiberlusconiani e suocere dubbiose, una persona di solito schiva ha raccolto i pacchetti che aveva portato in dono, tranne quelli per i bambini, ha chiesto il suo cappotto e se ne è andata, lasciando il cotechino iniziato nel piatto. È stato un gesto estremo, che ha avuto l’effetto di far smettere di litigare i parenti, lasciandoli con le forchette a mezz’aria, ma in realtà solo per qualche minuto. Poi hanno ricominciato.

Adesso qualcosa è cambiato, e siamo da settimane nel pieno del tumulto di nuove raccomandazioni natalizie: vi prego, non parliamo di vaccini. 

Tutto cambia, ma l’unica cosa che è rimasta identica è la risposta fasulla: ma figurati, io?, con la solita insistenza sulla parola io, che promette male. Non si tratta di ministri e di processi, ma di vita e di morte, quindi è tutto non solo grave, ma anche serio. Sono saltate in anticipo le riunioni famigliari del 25 dicembre, perché il genero no vax ritiene che la sua libertà non vada limitata nemmeno in nome della nonna di ottantacinque anni, e la nonna di ottantacinque anni non ritiene di potersi accontentare di un tampone, fosse anche molecolare: ha paura, e noi con lei e non solo per lei. Il genero rivendica la sua autonomia e il suo esercizio di coscienza e quindi anche di negazione, ma soprattutto indica “canali alternativi” sui quali ha appreso tutte le informazioni sulla pericolosità (e adesso anche inutilità) dei vaccini, ironizza sui pecoroni vaccinati già in fila per la terza dose, e insomma la soluzione meno violenta è in fondo riattaccare il telefono, dandosi appuntamento all’anno nuovo, forse, alla prossima estate.  

Se mi parli di cellule di feti umani, se mi dici che le tisane curano il Covid, se mi fai capire che c’è un complotto, se mi dici che non hai paura del virus ma del vaccino, io non posso nemmeno litigare, devo andare via. Se prendi in giro la mia ingenuità, se condanni il mio conformismo nel desiderare di fare la terza dose il prima possibile, io preferisco non discutere. Allo stesso modo, però, mi rifiuto di leggere interviste a bambini di sei anni felici di essersi vaccinati che spiegano agli adulti il senso civile della loro scelta, ma ringrazio i genitori di quei bambini per un senso di responsabilità personale e collettivo che forse parte dal desiderio semplice di passare un bel Natale con i nonni e le zie e i cugini e i regali, di andare al cinema insieme a vedere il nuovo Spider-Man (che dura due ore e quaranta ma secondo mio figlio è il film più bello che sia mai esistito e merita tutti i premi del mondo ed è pieno di sorprese che non si possono spoilerare e vale la pena di vaccinarsi solo per vederlo). 

Una volontà di sicurezza e di fiducia che parte dalla famiglia insomma, e si propaga all’intera comunità. Comincia a casa, comincia tutto sempre a casa, e prosegue a scuola, al lavoro, all’università, nel mondo. Comincia in realtà nei laboratori di chi studia tutto il giorno da decenni questo principio, e quindi anche a casa di questi scienziati a cui nessuno può augurare buone vacanze. La figlia di Katalin Karikó, che ha trovato la formula dell’Rna messaggero e che adesso tutti festeggiano, dopo trent’anni di anonimato, non ha fatto molte vacanze con i suoi genitori. Buon lavoro, buon Natale ma non troppo, abbiamo bisogno di sentirci al sicuro. Ma non grideremo mai che decidere di vaccinare un bambino piccolo è come bere un bicchier d’acqua e che non bisogna neanche porsi il problema. Sappiamo che non è tutto perfetto, e nemmeno a casa è tutto perfetto. Negli ospedali i medici convincono i parenti di molti No vax ricoverati a lasciarglieli curare, rispondono alle domande, provano a convincere, insistono. Poi urlano da soli in auto tornando a casa. A Natale, quest’anno, lasciamoli in pace, e non litighiamo.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.