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spazio okkupato

Internazionale complottista

Giacomo Papi

Affermare che “tutto quello che sai è falso” significa rifiutare la realtà condivisa, rifiutare cioè la condizione stessa di ogni dialogo e accordo possibile. La novità è che la debolezza storica delle teorie più strampalate si sta per la prima volta tramutando in forza

L’unico vero complotto è quello dei complottisti. Mi è venuto in mente leggendo l’editoriale in cui Claudio Cerasa sosteneva che il nemico più potente della democrazia oggi non è il fascismo, ma “il pensiero unico complottista”. Perché è vero che questa pulsione rende alleate forze diverse che fino a ieri apparivano opposte: No vax salutisti e liberisti, filonazisti, antagonisti e portuali di Trieste. Da qualche parte forse, probabilmente in Russia, si tiene ogni anno una Internazionale dei complottisti, naturalmente clandestina, dove si confrontano leader provenienti da ogni parte del mondo. Per un’intera settimana, sotto le mentite spoglie di un falso convegno sulla pesca allo storione nel mar Caspio, i delegati delle varie teorie del complotto mondiali pianificano azioni e alleanze, e naturalmente fanno affari: il leader dei creazionisti discute con il capo dei credenti nelle sirene, nei giganti e nelle scie chimiche, lo sciamano cornuto di QAnon cerca di arruolare il distributore mondiale dei Protocolli dei Savi di Sion mentre il rappresentante mondiale dei terrapiattisti scruta impavido l’orizzonte. È un brulicare diffuso, una fiera, dove i complottismi di nicchia si mischiano a quelli di massa, ai movimenti No euro, No Europa, No immigrazione e, appunto, No vax, per decidere le strategie migliori per cambiare la storia. 

 

Claudio Cerasa ha ragione quando scrive che il complottismo è il pericolo maggiore per la democrazia perché è alla base di tutte le spinte eversive che si sono manifestate negli ultimi anni, dagli antieuro agli antisemiti fino all’assalto a Capitol Hill. È così pericoloso perché può assumere infinite forme, spesso ridicole, ma si basa su un unico elementare e potentissimo sentimento di sfiducia e rifiuto collettivo di quello in cui crede la maggioranza. Per questo la sua natura è necessariamente eversiva. Affermare, infatti, che “tutto quello che sai è falso” – come recitava il titolo di uno dei primi bestseller del neocomplottismo – significa rifiutare la realtà condivisa, rifiutare cioè la condizione stessa di ogni dialogo e accordo possibile. Ma significa, anche, quasi necessariamente, ammettere la possibilità della violenza come metodo politico: se pensassi, infatti, che i potenti ci stessero ingannando per i loro sordidi e inconfessabili interessi, non avrei esitazione a combatterli. Per questo le teorie del complotto sono da sempre alla base dei movimenti rivoluzionari. Per questo gli intellettuali più radicali sono così inclini a scivolare dalla critica della società alla negazione delle sue verità, fino ad abbracciare le teorie più assurde. La prima mossa per rovesciare un sistema politico è minare la verità su cui è fondato.

 

La novità, mi pare, è che la debolezza storica delle teorie del complotto – la loro spontanea, frammentata mutevolezza – si sta per la prima volta tramutando in forza. Il terreno è stato preparato da decine e decine di libri e film – da “Capricorn One” a “Matrix”, fino a “JFK” di Oliver Stone – fondati sull’idea di un inganno planetario ordito dal potere nei confronti delle masse, ma sono stati i social e gli algoritmi che li fanno funzionare ad avere reso il neocomplottismo un affare economico e un movimento politico di massa. È come uno sciame che muta incessantemente forma, e prevede travasi continui tra fedeli di teorie diverse perché chi non crede nei vaccini è più propenso a credere anche alla malvagità del Gruppo Bilderberg o di Bill Gates di chi, invece, della scienza ha deciso di fidarsi tutto sommato. Le teorie del complotto, pur nella loro varietà, sembrano sempre più spesso emergere da un sostrato comune.

 

Non significa, naturalmente, che esista un Grande Vecchio del cospirazionismo, anche se sarebbe consolante pensarlo (immaginare un colpevole vuol dire pensare che il male possa essere spiegato e quindi sconfitto). Quello che esiste, invece, perché si è spontaneamente formata, è una rete mondiale capillare che sa adattarsi e modellarsi alle tensioni sociali che via via si producono, in modo da attaccare con più efficacia le politiche che potrebbero averle determinate. È questa natura metamorfica e corpuscolare del neocomplottismo a renderlo così pericoloso e difficile da combattere. Ed è la sua natura paradossale a rendere inefficaci la repressione e la persuasione, cioè le strategie con cui da sempre le democrazie si difendono. Quanto sarebbe bello se esistesse davvero una Internazionale del complotto o almeno un centro di comando. Ci si potrebbe infiltrare per provare a combatterla dall’interno, con l’incubo di finire, però, come ne L’uomo che fu Giovedì, quel romanzo di Chesterton in cui sette cospiratori cospirano senza sapere di essere poliziotti infiltrati per impedire la cospirazione.