La protesta contro il green pass a Trieste, il 25 settembre 2021(ANSA / Benedetta Moro) 

Fronte del porto

Chi sono i quindicimila no pass di Trieste (che si dicono non fascisti)?

Il rischio blocco delle banchine, il magma eterogeneo della protesta

Marianna Rizzini

"Non c'è solo la Trieste mitteleuropea", dice il direttore del Piccolo, Omar Monastier. Gli slogan contro la stampa e contro Beppe Grillo. I pacifisti e i quelli che assaltano i giornalisti. Dice il portavoce dei portuali Stefano Puzzer: "A noi di sinistra e destra non importa niente"

Green pass obbligatorio, ecco chi sono i portuali di Trieste che non lo vogliono

Quindicimila persone in corteo a Trieste. L’immagine della marea umana rimbalza di sito in sito da lunedì pomeriggio, inseguita dalla domanda: chi sono, questi quindicimila di Trieste in lotta contro il green pass che dicono “non siamo fascisti”? E perché proprio a Trieste? C’era infatti di tutto, per le vie della città dove il movimento 3 V (no pass) prende più dei Cinque stelle e dove, alla vigilia del secondo turno delle amministrative, il magma ribollente della protesta non affonda le sue radici nella destra modello Forza Nuova, tanto che non si vedono leader alla Giuliano Castellino, ma in uno scontento eterogeneo che va dai portuali ai tassisti ai ferrovieri alle famiglie non abbienti ai lavoratori delle grandi aziende (Warsila, Flex) fino ai centri sociali.

 

Si sono visti, in piazza, a gridare “libertà”, difensori dei diritti con bandiere pacifiste e associazioni legate alla medicina alternativa, accanto a quelli che assaltavano la sede del quotidiano Il Piccolo e scandivano slogan contro la stampa (ma anche contro Beppe Grillo). C’era chi vestiva di bianco, in segno di non violenza, e chi si diceva pronto a tutto –  a cominciare dal blocco del porto, venerdì 15 –  pur di non veder applicata l’obbligatorietà del green pass sui luoghi di lavoro.

 

E ieri il portavoce del Coordinamento Lavori Portuali Trieste, Stefano Puzzer, ribadiva al Foglio il concetto: “A noi della destra e della sinistra non importa niente. Siamo solo lavoratori, e vogliamo la revoca del decreto”. Pena l’occupazione delle banchine: “Il 40 per cento dei lavoratori portuali non ha il green pass. Se sarà obbligatorio, non entreremo”. Ma quindicimila manifestanti, per Trieste, sono tanti. Non sono solo portuali. Da dove viene il fiume umano visto lunedì?

 

Il direttore del Piccolo, Omar Monestier, parla di una Trieste bifronte: “Non soltanto Mitteleuropa, non soltanto letteratura, caffè, centri di ricerca, ricchezza, ma anche disagio, case popolari, alcolismo, povertà. Però in piazza c’erano anche molti lavoratori del pubblico impiego e pensionati. E anche molti tra quelli che si sono astenuti al primo turno, un cinquanta per cento di elettori che si sentono emarginati, non rappresentati”. In città ci sono ancora i nostalgici del “Territorio Libero di Trieste”, indipendentisti che rivendicano una libertà extra-stato. Si possono definire di destra, ma non appartengono alla destra neofascista. C’è la comunità slovena, anche se è una comunità integrata. C’è un blocco sociale cui una sorta di destra sociale può attingere: portuali, classi meno agiate, braccianti, operai. C’è un nucleo storico di ribellismo antistatale.

  

Poi c’è la storia del porto, un porto che per molti anni ha vissuto il declino, per poi risollevarsi, anche sotto la guida di Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale. L’uomo che è pronto a dimettersi proprio venerdì 15, se i portuali arrivassero fino in fondo con la minaccia di blocco a oltranza delle attività. E il fatto che D’Agostino non riesca a domare la protesta è considerato un fatto insolito dagli osservatori locali, eppure accade: anche se le imprese garantiscono tamponi gratis, molti lavoratori portuali non ci stanno. Dicono che loro lavorano all’aperto, e chi arriva in porto con camion e navi spesso non è vaccinato o è vaccinato con vaccini non riconosciuti. “Giù le mani dal lavoro”, era lo slogan, racconta nella sua cronaca sul Piccolo Elisa Coloni.

 

Ma non c’è solo questo, per le vie di Trieste. C’è una rabbia e insoddisfazione sommersa che tocca argomenti diversi ma legati dal filo comune di un para-complottismo, e c’è anche l’antagonismo che un tempo viveva ai margini della sinistra. “C’è chi abbaia alla luna e chi al sole”, dicono da Trieste. E ieri, mentre i leader del centrodestra Salvini, Meloni e Tajani si avvicendavano su un palco triestino per sostenere in vista del ballottaggio il sindaco uscente Roberto Dipiazza, il fronte del porto, con muro contro muro, preoccupava anche Roma. 
 

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.