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Perché il nostro istinto ci fa preferire il farmaco al vaccino

Gilberto Corbellini

Gli esseri umani si sono evoluti cognitivamente per essere avversi ai rischi e per sovrastimare i rischi poco probabili e sottostimare i rischi più probabili

Il farmaco Pfizer per la terapia della Sars-Cov-2 sembra davvero più che una promessa e ci si immagina che in molti stiano gioendo perché anche pazienti che non possono vaccinarsi per il sistema immunitario inefficiente, oltre quelli che non vogliono vaccinarsi per pregiudizio o paura, si sentiranno più tranquilli. Di non rischiare la morte. 

   

Il Paxlovid (nirmatrelvir) è efficace all’89 per cento nel ridurre l’ospedalizzazione, grosso modo quanto i vaccini a mRna (che lo sono tra 89 e 93). Quindi, in linea di principio, si tratta di un miglioramento nelle opportunità terapeutiche – una rivoluzione dato che finora non c’erano terapie in generale – ma certo non nelle opportunità di prevenzione. Perché il vaccino previene la malattia e, nel caso in cui venga contratta, l’ospedalizzazione. Mentre il farmaco previene l’ospedalizzazione se si è contratto il virus, e non si è vaccinati. Nessuno che sia contrario a vaccinarsi per ora dice che non prenderà il farmaco se si dovesse ammalare, e si può immaginare che in molti esitanti e No vax tireranno un respiro di sollievo perché se esisterà una terapia si sentiranno meno a rischio, in mancanza di protezione immunitaria. Anche se è tipicamente un atteggiamento irrazionale preferire o scegliere il farmaco piuttosto che il vaccino, a parte le persone che il vaccino non lo possono fare per motivi medici. Mette in evidenza ancora di più che la scelta di non vaccinarsi non è qualcosa di semplice o solo ideologico, ma che dipende anche dal fatto che il vaccino è un farmaco che si assume mentre si è in salute. Un farmaco terapeutico, invece, lo si prende quando si sta male. Il senso della vaccinazione è che io sono in salute, ma mi dovrei inoculare un prodotto (che qualcun altro ha fatto per venderlo – ovviamente Big Pharma – e che mi viene fortemente raccomandato o imposto dallo stato), il quale mi causerà qualche fastidio (dal dolore al braccio, alla febbre, etc.) con un minimo rischio di effetti collaterali, per cui devo firmare un consenso. 

    
Noi, come esseri umani, ci siamo evoluti cognitivamente nelle età più antiche per essere avversi ai rischi e per sovrastimare i rischi poco probabili e sottostimare i rischi più probabili. Perché le cose vanno così ce lo spiegano gli psicologi evoluzionisti e cognitivi, i quali pensano che la nostra razionalità non sia guidata dalla logica o dal calcolo, ma soprattutto dalle intuizioni. I nostri antenati che usavano quegli schemi cognitivi per decidere (evitare il rischio e basare la percezione sull’entità del pericolo) sono sopravvissuti e da loro noi discendiamo.

 

Non è facile affrancarsi da questi bias. Solo se ci siamo un po’ esercitati, studiando e con la pratica, a tenere a bada le nostre reazioni di pancia o emotive di fronte a scelte sulle quali ci mancano molte informazioni, e se ci fidiamo di chi ci raccomanda la vaccinazione, allora mettiamo da parte l’esitazione e ci vacciniamo. Altrimenti restiamo esitanti, e se abbiamo inclinazioni complottiste o se frequentiamo ambienti dove tutti hanno le nostre indecisioni e ci rafforzano nelle ragioni di ritardare o non fare il vaccino, ecco che diventiamo Novax. Non sempre le cose procedono così, ma ci sono parecchi studi che confermano questo schema. Anche altri fattori entrano il gioco nell’essere esitanti, come il fatto di avere visto delle persone morire o stare male per una malattia che si può prevenire con la vaccinazione.

 

I dubbi e le precauzioni di cui parlano certi filosofi e intellettuali fanno ridere. Evidentemente costoro hanno smesso di studiare e ricorrono a nozioni che le scienze cognitive hanno asfaltato da tempio. Perché i loro ragionamenti sono descritti da numerosi esperimenti di psicologia che mostrano trattarsi delle strategie più usati da persone comuni,  per razionalizzare delle decisioni o scelte irrazionali che sono già stata prese con le aree più inferiori del cervello.

   
I vantaggi del nuovo farmaco saranno notevoli, anche se si creeranno condizioni problematiche, tipiche dell’uso degli antivirali (e gli antibiotici): più persone prenderanno il farmaco e maggiori probabilità ci saranno che si sviluppi una resistenza a esso. Alcune varianti già mostrano mutazioni a livello della proteasi del virus. Per cui una persona completamente vaccinata e con un'infezione in corso non dovrebbe assumerlo a meno che non si sia in presenza di fattori di rischio significativi. E come strategia generale, se si vuole avere migliori probabilità che il virus diventi endemico e meno dannoso, è preferibile individualmente e collettivamente vaccinarsi e continuare a vaccinarsi nel maggior numero possibile.

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