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cattivi scienziati

Serve cautela, ma i dati sulla pillola anti Covid fanno ben sperare

Enrico Bucci

Meno contagiosità, meno ospedalizzati e meno morti. I numeri incoraggianti di Paxlovid

Abbiamo un nuovo comunicato stampa della Pfizer circa l’efficacia del suo antivirale, Paxlovid, come misurata in due diversi studi clinici, uno su pazienti ad alto rischio di aggravamento e uno su popolazione adulta standard. Poiché non sono disponibili ancora dati pubblicati né articoli scientifici revisionati, è bene adottare un metodo estremamente conservativo nel valutare questo comunicato. Dunque cominciamo dai punti facilmente verificabili per le prime considerazioni.

    
La dimensione di cui si annunziano i risultati, che hanno esaminato migliaia di individui, e il disegno sperimentale, randomizzazione in doppio cieco contro placebo, garantiscono l’adeguatezza e la robustezza dei risultati, quando sarà possibile avere accesso a essi in forme diverse da un comunicato aziendale.

    
Inoltre, possiamo accettare come molto probabilmente veri (a meno di improbabili errori grossolani) i risultati sfavorevoli al farmaco e all’azienda. Fra questi, il più significativo è la mancanza di efficacia del farmaco contro la malattia sintomatica, ottenuta verificando se nel gruppo dei trattati vi fosse alleviamento dei sintomi, rispetto al gruppo trattato con placebo, per almeno 4 giorni consecutivi: il riscontro negativo ha significato, come comunicato da Pfizer, che il farmaco, almeno nei dosaggi e nei modi di somministrazione sin qui provati, non ha capacità contro i sintomi generici.

   
Dove i risultati sono comunicati come positivi dall’azienda, e dove quindi è necessario prestare la massima attenzione e attuare la massima diffidenza prima della disponibilità di dati verificabili, è nelle ospedalizzazioni e nelle morti. Secondo il comunicato stampa, l’insieme di queste è risultato ridotto nel gruppo dei pazienti a rischio dell’89 per cento, per quanto riguarda il rischio a tre giorni dai sintomi, e dell’88 per cento, per quel che riguarda il rischio entro cinque giorni. Questo dato è insufficiente a valutare la reale efficacia del farmaco, perché non sappiamo a quanti ospedalizzati e morti corrisponde, né sappiamo cosa è avvenuto oltre i cinque giorni dall’insorgenza dei sintomi. Le percentuali fornite, in ogni caso, non sono valori di efficacia complessiva, perché appunto si riferiscono a un limitatissimo periodo di osservazione: questo “dettaglio” sembra essere sfuggito alla maggior parte dei giornalisti che in queste ore pubblicano i propri articoli.

 
Invece, un altro dato è più utile – sempre pendente la verifica che sia reale: nei risultati ad interim del secondo studio, sulla popolazione di soggetti a rischio non particolarmente elevato (standard), l’insieme di morti e ospedalizzazioni sarebbe per ora ridotto del 70 per cento sull’intero periodo di osservazione sin qui trascorso a partire dall’insorgenza dei sintomi.

   
Inoltre, l’azienda comunica un ulteriore dato che, se vero, sarebbe estremamente interessante: al quinto giorno dall’insorgenza dei sintomi, quindi in prossimità di quello che è noto essere il picco della carica virale negli individui infetti, sia nei soggetti ad alto rischio sia nei soggetti standard la carica virale appare ridotta di dieci volte. La verifica di questo punto è fondamentale, perché non solo costituisce un ovvio razionale per l’attività del farmaco, ma soprattutto implica una possibile ridotta infettività dei soggetti trattati, al di là della riduzione del rischio di conseguenze gravi.

    
Infine, un punto di ulteriore, estremo interesse: poiché il farmaco agisce legando una regione di una proteasi virale che non appare sin qui interessata da particolari mutazioni, se ne è ipotizzata la sua efficacia anche contro la variante Omicron: ebbene, i dati in vitro, se dobbiamo credere all’azienda, mostrano che il farmaco agisce anche su questa variante.
Stiamo parlando di un comunicato stampa, e dunque è bene temperare l’entusiasmo e attendere dati verificabili; per esempio, oltre che sull’efficacia, è necessario verificare che il profilo di sicurezza apparentemente impeccabile del farmaco sia davvero tale, sulla base di più che qualche percentuale fornita in un sito web, e anche controllare se e quanto il virus possa sviluppare resistenza, cosa che è certamente già stata verificata in vitro, ma su cui ancora una volta servono maggiori dati. Al netto di queste ovvie cautele, e nonostante il fatto che i comunicati stampa servono soprattutto a compiacere le Borse, tutti gli studi sin qui pubblicati su Paxlovid sono robusti, e fanno sperare che un trattamento orale migliore di ogni cosa sinora disponibile sia vicino, e per questo motivo il lunedì scorso ne è stata autorizzata temporaneamente la distribuzione in Italia.

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