(foto LaPresse)

Dove sono finiti i nostri anni più belli? Forse solo in un film di Gabriele Muccino

Silvia Grasso

Avevo letto nella mia bolla virtuale che fosse un film con troppe passioni, ma a me le scene urlate sono sempre piaciute

Cara Annalena, ieri sera sono andata al cinema per vedere l’ultimo film di Gabriele Muccino, “Gli anni più belli”, alla fine di una giornata infinita e all’inizio di una settimana che sembrava non avere inizio perché volta già al termine. “È il classico film di Muccino” avevo letto nella mia bolla virtuale: tanti amici, tanta Roma, tante passioni, troppe. Ma a me le scene urlanti sono sempre piaciute, mi dico. E poi: da quando le passioni sono troppe? È vero, “Gli anni più belli” è denso di scene urlanti di passioni, è denso di ricordi e memoria e mentre lo guardavo mi chiedevo: ma dove sono finiti gli anni più belli? La mia generazione, quella dei quasi trentenni, cresciuti con la convinzione che gli anni più belli dovessero ancora arrivare, aspettava sognando, sperando, disperando, vivendo. In fondo come tutte le altre generazioni, no? E senza differenza, aspettavamo il momento in cui avremmo preso le decisioni giuste che ci avrebbero cambiato la vita e, nel frattempo, le sceglievamo senza rendercene conto, a volte sbagliando a volte salvandoci. Aspettavamo euforici di conquistare quel mondo promesso, con il vento tra i capelli, chiusi nelle nostre stanze infinite che erano anche teatri di esperienze mai vissute. Ci amavamo e ci odiavamo e lo facevamo insieme perché soli. Eravamo tutti fratelli orfani: senza padri e senza madri, senza maestri e senza passato e lo siamo anche adesso, orfani, adesso che siamo diventati madri e padri di noi stessi.

 

Io me li ricordo confusamente i miei anni più belli, forse perché devono ancora arrivare, per me e per tutti i miei fratelli orfani.

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