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Nessuno ci aveva preparato alla rivoluzione

Alberto Schiavone

Adesso, un mese dopo, io ho il phon acceso e lei è bellissima

Seduto sul divano, sono le quattro di notte. La piccola lampada alla mia destra emette la luce necessaria. Non è ora per la luce grande e non è ora per il buio. Le gatte mi guardano, sfingi sul tappeto. La televisione è accesa, ma senza audio. Non serve, visto che ho il phon acceso. Ho guardato tutte le puntate della serie tv di Ammaniti così. Non so che voce abbiano i personaggi. Ne intuisco i dialoghi, la trama mi è chiara. Non è il periodo giusto per essere perfetti.

 

Ho il phon acceso perché ho scoperto che il suo rumore aiuta Teresa a dormire. Lei è tra le mie braccia. Ora dorme. Prima no. Il trucco del phon me lo ha insegnato una mia amica esperta. Esperta vuol dire avere avuto almeno un figlio. Non serve molto di più.

  

Ecco, la prima cosa da appuntarsi è che non ci vuole troppo per diventare cinture nere, il tempo non c’è. Chiavi in mano, subito. A te il pallone, corri. Laureato. Via, schnell.

  

La mia amica al secondo figlio mi ha raccontato del phon e anche di altre cose che al momento non ho utilizzato. Far dormire il neonato fuori al balcone, il rumore bianco, l’aspirapolvere, l’automobile, le app sul telefono con tutti questi rumori e anche di più. Altra cosa da appuntarsi: vale tutto.

  

La rivoluzione compie un mese. E’ una rivoluzione che necessita di normalità, la insegue. Che la bambina mangi, che dorma, che faccia la cacca in una certa maniera e un certo numero di minzioni. Che il singhiozzo non spaventi. Il ruttino. Ha gli occhi più svegli di ieri, vero? Vero.

  

Ogni donna arriva al parto con una quantità di informazioni da riempirci dei manuali in diversi volumi. Non esiste però la scuola per il dopo, quando si ritorna a casa. O meglio, non esiste per il nostro mondo di adesso, in cui non c’è l’abitudine e la prassi di vivere con zie, nipoti, sorelle, nonne, bimbi, pianti e tutto il resto.

  

La rivoluzione inizia quando apri la porta di casa, sudato, goffo, non ancora sapiente nell’uso e smontaggio del passeggino o culla o automezzo più o meno pesante in dotazione. Il nostro, per esempio, è un lascito degli zii di mia moglie, perché noi siamo genitori illuminati e ci siamo fatti prima tutto il giro degli avanzi di amici e parenti. Il nostro passeggino grande, quello per i primi mesi (ancora non ho capito quanti) è sgarrupato, dondola troppo e ha una ruota difettosa. Come quando al supermercato ti accorgi troppo tardi di aver preso il carrello rotto ma non hai più voglia di tornare indietro a cambiarlo. Noi abbiamo fatto i genitori illuminati e adesso per qualche mese (spero pochi, spero di poter usare il passeggino più leggero presto) andiamo in giro con questo catafalco sbiadito, fantozziano. Ma non importa, non retrocediamo.

   

Nessuno prepara una donna, e di conseguenza chi le sta di fianco, al dopo. Perché quelle nozioni si dissolvono sbattendo nel quotidiano. Che è fatto soprattutto di solitudine. Di persone che continuamente ti tolgono la bimba dalle braccia, dopo avertela tolta dalla pancia. Dia a me. Aspetta, la prendo io. Lascia, la faccio tranquillizzare nelle mie braccia. Non nelle tue.

  

Una solitudine di persone che ti spiegano come essere brava ed efficace, da subito. Su ogni argomento. Il ciuccio, la tetta, il sonno, le coliche, la crema da usare, il modo di tirarla su e quello di metterla giù. Altra cosa da appuntare: non dare consigli. Raccontare, se interrogati. Ma non entrare a gamba tesa, non spiegare.

  

Sui primi mesi della rivoluzione vige un’omertà che spesso coinvolge l’intero nucleo familiare, perché in quei primi mesi probabilmente si è trovato in difficoltà, ha intravisto le crepe, gli abissi della fatica e dello stare al mondo. Le domande che non si volevano fare e quelle che non ti sarebbero mai venute in mente. Ma sempre allegri bisogna stare.

  

Ho combattuto subito questa onda di schizofrenia, accompagnando i pianti e stimolando le risa di mia moglie senza biasimare gli uni e senza fotografare le altre. Mi sono da subito sentito in una parte di storia comune ai miei simili, e per questo degno di sguazzarci con gioia e bestemmia. Questo ho da insegnare. La mia rivoluzione è tutta qui.

  

E’ un tentativo di strappare via il tono di esasperazione da un evento come la nascita di un figlio, negando la sua fastidiosa narrazione contemporanea fatta di scemi glorificanti e di altri scemi che rivendicano stizziti la loro scelta di non aver messo al mondo figli. Come belligeranti infastiditi.

  

Teresa dorme. E’ bellissima. Le bacio il nasino e le sussurro parole d’amore. Ho davanti almeno due ore di quiete. Forse non ho più sonno. Cammino fino alla camera da letto, mia moglie apre un occhio, mi guarda. Dorme? Dorme. Sorride. Mi avvicino a lei, sono in piedi, lei sdraiata con dietro la testa tre cuscini. Abbassa gli occhi, mi spoglia. Restiamo in silenzio per un po’.

  

La mia rivoluzione voglio che diventi una dolcissima abitudine.

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