Massimo Carminati lascia il carcere di Oristano (foto LaPresse)

La differenza tra giustizia e talk-show

Giuliano Ferrara

Invece di ispezionare i tempi dei processi, e mandare a casa i magistrati incapaci, da noi si mandano gli ispettori quando si ha notizia di qualcosa che allarma la pubblica opinione. Appunti sul caso Carminati, per non imitare le Filippine di mister Duterte

Come non essere contenti della decisione di Dj Bonafede di mandare gli ispettori a ispezionare la scarcerazione di Massimo Carminati? Accerteranno che le motivazioni del tribunale sono corrette. Che Carminati, detto “Er Cecato” per aver perso un occhio in uno scontro a fuoco con la polizia, ha il profilo di un gangster, ma l’Italia non è le Filippine di Duterte, dove ai gangster e ai presunti delinquenti viene imparzialmente tagliata la gola brevi manu, a discrezione, o sono buttati in una fossa carceraria senza chiave per riaprirla. L’Italia ha però un che di dutertesco, accerteranno gli ispettori, visto che a Carminati ha inflitto preventivamente quattro anni al 41 bis, roba fortissima, per un’accusa grottesca di “Mafia Capitale”, che oggi i giornali derubricano pudichi, dopo aver soffiato sul fuoco e sorpresi dal suo interramento giudiziario in Cassazione, a “Mondo di mezzo”, e un anno e spicci in relazione all’accusa più credibile di associazione per delinquere a scopi corruttivi. I termini di custodia preventiva in carcere sono scaduti, dunque la scarcerazione di questo tipo non rassicurante, uno che però in uno stato di diritto non avrebbe fatto tutta quella brutta galera, e non sarebbe passato sotto la gogna caudina infamante che si sa, fino all’esito in tempi ragionevoli di un giusto processo.

 

Da noi invece di ispezionare i tempi dei processi, e mandare a casa i magistrati incapaci o cambiare il sistema che ostacola quelli meno inetti, per ottenere una giustizia utile a sancire i delitti e castigare i rei con la certezza della pena, si mandano gli ispettori quando si ha notizia di qualcosa che allarma la pubblica opinione, la scarcerazione di uno che ha il profilo ben radicato del gangster. E’ il nostro modo facile di giustiziare chi assurge a simbolo, magari in un contesto di violenta politicizzazione del caso che lo riguarda, evitandosi la fatica e la cura di una rigorosa applicazione delle norme di garanzia operativa per l’accusa e per la difesa. Mediocre barbarie. Ora vedremo come procederà la faccenda, quante grida saranno elevate al cielo per lo scandalo di un lupo rimesso in libertà, dopo un arresto plateale e thriller tratto da una serie scritta da qualche magistrato romanziere criminale,  quando la promessa era stata di buttare via la chiave con condanne faraoniche e bombastiche. Il fatto che questo lupo, invece che azzannare e sbranare le galline nel pollaio, se ne stesse presso una pompa di benzina a regolare un banale traffico corruttivo e un’attività minore, per quanto orrida, di incravattamento di poveri debitori strozzati, bè, questo non conta.

 

Bisognava trovare un modo per eccellere in inchiesta, le famose eccellenze italiane che annunciano gli arresti a un convegno del Pd, per dannare la Capitale e bollarla in Italia e nel mondo con l’accusa turpe di mafia, bisognava applicare gli strumenti pensati per combattere Riina e Pippo Calò in un contesto di cooperative sociali di spazzini e di combriccole di colletti bianchi comunali percettori di extra-reddito a sbafo, la più classica e laica delle corruzioni amministrative. Bisognava terrorizzare i romani e indurli a votare una candidata sindaco terrorizzante, ma in nome della guerra alla mafia, addirittura. Con il risultato che da quel momento in poi, salvo qualche resipiscenza da campagna elettorale, gli spazzini chi li ha visti? Tutto questo fatto, e emigrato in Vaticano il pur bravo magistrato che si era prestato alla sceneggiata, ecco che tutto si compie con la giusta scarcerazione di uno col profilo del gangster e l’ispezione generale. Come non essere contenti? Complimenti vivissimi.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.