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Non basta il benchmark per fare lo stadio più bello del mondo

Pier Paolo Tamburelli

Un addetto ai lavori fa qualche (provvisoria) considerazione architettonica e di impatto

Giovedì 26 settembre, al Politecnico di Milano Bovisa, sono stati presentati due progetti per il nuovo stadio di Inter e Milan. A condurre l’evento, celebrato nel consueto patois anglo-milanese caro agli dèi del progresso, erano Paolo Scaroni, presidente del Milan, e Alessandro Antonello, amministratore delegato dell’Inter. Scaroni ha subito messo le cose in chiaro: “Il Meazza non va più bene, punto”. San Siro (“a cui siamo affezionatissimi”) non è più adeguato alle ambizioni dei due club e va demolito e sostituito. Antonello ha introdotto i progetti, sottolineando che la “vision” è stata sviluppata “immergendosi nella propria città”, combinando “innovazione e rispetto della tradizione” e avendo come obiettivi una “città verde” e una “città resiliente”. Poi ha spiegato che il vecchio stadio non si può ristrutturare, perché questo vorrebbe dire giocare per quattro anni lontano da Milano e perché, nello stadio attuale, si potrebbero realizzare al massimo 24 mila metri quadri di spazi per attività pre partita, contro un “benchmark europeo di 100 mila mq”. Scaroni ha poi ripetuto che il nuovo progetto sarà “più verde” e “più sostenibile” ed ha sottolineato il “minor impatto visivo” dei progetti per il nuovo stadio, che non supereranno i 30 m di altezza, contro i 68 m dello stadio attuale. Poi è intervenuto Ferruccio Resta, rettore del Politecnico e quindi padrone di casa, che ha parlato di “grande opportunità che Milano non può perdere”, spendendo senza remore e a nome di tutta l’istituzione che rappresenta quello che egli stesso ha prontamente certificato come “avvallo culturale”. Poi sono stati presentati i progetti, descritti in due video (niente disegni, niente numeri).

 

Il primo, di Manica e Progetto CMR, si intitola “Gli anelli di Milano”. Il nuovo stadio è fasciato da due anelli intrecciati. Su questi anelli sono stampate le foto dei volti dei tifosi (dov’è che l’ho già sentita questa?), così che l’edificio possa diventare “autentica espressione dei suoi tifosi”. Lo stadio si combina con un’ampia piattaforma commerciale con tre torri. Sopra la piattaforma c’è un bosco dove si apre una straziante radura con un campo da pallone esattamente nel luogo del prato del vecchio Meazza. Questo campetto sul tetto di un centro commerciale si pretende che “celebri e conservi la sua [del Meazza] importante storia”. La piattaforma commerciale si rivolge verso lo stadio generando una piazza ovale piuttosto elegante, verso nord ci sono le torri. Il video si conclude con un minaccioso “il futuro è adesso” con tanto di battito cardiaco in sottofondo, seguito da un discretamente iettatorio “ogni leggenda deve passare il testimone” che in conclusione annuncia “lo stadio più bello del mondo”.

 

Dopo è stato il turno dei concorrenti, Populous di Londra (che, come in tutti i casi in cui si viene introdotti per ultimi, sembrerebbero destinati a vincere). Il progetto si chiama “La cattedrale”. Il video di Populous comincia male con Piatek e Candreva, giusto per mettere di cattivo umore entrambe le tifoserie, poi nuovamente il monito menagramo “ogni leggenda deve passare il testimone”, che a questo punto sembra corrispondere ad un preciso messaggio imposto dai club, e il solito elenco di “innovazione”, “sostenibilità”, “design”. Si passa poi al Duomo, la “cattedrale” che il nuovo stadio vuole imitare. Dal Duomo, volando attorno a una nuova torre molto appuntita, si plana verso “la cattedrale del calcio”. L’aspetto gotico del nuovo stadio-cattedrale è dato da una fitta serie di costoloni che da una parte reggono le tribune e dall’altra aggettano a produrre un portico tutt’attorno. La cosa potrebbe anche esser bella, non fosse che il tutto è contenuto in una scatola di vetro (inverosimilmente trasparente nel video), che non potrà che annullarne l’effetto spaziale. Anche qui c’è un momento lacrimevole in cui si dice che l’ingresso al museo delle squadre avverrà dall’attuale cerchio di centrocampo, con un ascensore circolare che condurrà agli spazi espositivi sotterranei. Della sistemazione urbanistica non si dice quasi nulla, si vedono solo comparire delle torri nell’immagine notturna che conclude il filmato. Sul palco i vecchi campioni: Franco Baresi e Riccardo Ferri. Ferri ha garantito che il nuovo stadio sarà “a impatto ambientale pari a zero” (Ferri deve saper qualcosa che io non so su come si possano smaltire sostenibilmente 200 mila metri cubi di macerie). Baresi si è limitato a dire, senza celare una certa amarezza, che “il futuro è questo”. Infine il presentatore ha ricordato che “il coinvolgimento dei cittadini è molto importante” (tenendo fede, le due società hanno poi annunciato che dalla prossima settimana inizieranno incontri “di ascolto” con i cittadini).

 

Detto dell’evento, restano alcune osservazioni:

 

1) Il livello culturale dei progetti è davvero basso. Le metafore impiegate a raccontare i progetti sono banali e usurate. L’interpretazione della città inesistente. Infatti, nonostante i proclami di Antonello, le due società non si sono rivolte a “quattro studi di fama mondiale”. Dei quattro studi invitati, l’unico che si può ragionevolmente definire “di fama mondiale” è quello di Stefano Boeri, la cui proposta è stata però esclusa. Gli altri tre sono semplicemente enormi studi professionali specializzati in edifici per lo sport, senza troppe ambizioni intellettuali.

 

2) Il nuovo stadio, come esplicitamente rivendicato da Scaroni, sarà decisamente meno monumentale di San Siro. Avrà “minor impatto visivo”, sarà più basso. Chi amava la “Scala del calcio” si rassegni. Peraltro, gli architetti impegnati a raderlo al suolo non hanno potuto che osservare che l’atmosfera dello stadio attuale è “incredibile” e “potentissima”. Nessuno ha neanche provato a promettere qualcosa di simile.

 

3) Qual è l’ambizione del progetto del nuovo stadio? L’impressione è che si tratti semplicemente di applicare a questa città “unica” gli stessi protocolli (finanziari, urbanistici ed architettonici) che vanno bene per tutti gli altri posti del mondo. Il nuovo stadio più bello del mondo è esattamente identico a quello che si potrebbe fare in Uzbekistan o a Salt Lake City. L’ambizione, anche punto di vista della sostenibilità, non è molta.

 

4) Continua a sembrar più ragionevole risanare l’area (che effettivamente, come dice Scaroni, è “un non-luogo”) senza demolire il vecchio stadio. Infatti un edificio enorme come San Siro può sempre essere adattato, a patto di poter anche adattare (marginalmente) gli standard rispetto ai quali viene misurato, a patto di accettare che tra le tribune e il ristorante ci possano essere diciannove passi invece che diciassette, come previsto da un “benchmark europeo” (?) brandito come un’arma contundente. Questo lavoro di adattamento e trasformazione (questo lavoro di osservazione e reciproca comprensione) è la vera innovazione a cui Milano e il suo nuovo (vecchio) stadio devono ambire. Significherebbe accettare il confronto con la complessità e immaginare la sostenibilità. Questa sì che sarebbe la sfida di una città che non si accontenta di uno stadio come tutti gli altri.

 


 

Pier Paolo Tamburelli è professore al Politecnico di Milano / Harvard Gsd

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