Piero Scaramucci (Foto LaPresse)

Le molte cose che lascia Piero Scaramucci

Ivan Berni

Libertario movimentista, ideò e fondò Radio Popolare di Milano, 43 anni fa, dimostrando che la sinistra poteva fare un giornalismo professionale e di qualità

E’ stato un maestro di giornalismo. Un maestro schierato, di parte, ma senza mai tradire il principio che il primo dovere di un giornalista è dare le notizie, qualsiasi siano. Anche le più sgradevoli e imbarazzanti per la propria parte. Piero Scaramucci è morto ieri per le conseguenze di un aneurisma che lo aveva colpito circa un mese fa. Milanese, aveva 82 anni, nel 2001 era stato premiato con l’Ambrogino d’oro. Piero è stato un giornalista Rai dal 1961 – entrò per concorso – al 1992, quando prese la direzione di Radio Popolare che mantenne fino all’autunno del 2002. Radio Popolare, la sua “creatura” che aveva ideato nel 1976 e che aveva guidato nei primi mesi di vita. Scaramucci era un libertario movimentista, vicino a Lotta Continua ma senza aver mai ricoperto incarichi negli organismi dirigenti. Fece parte del gruppo di “giornalisti democratici” che nel 1970-’71 collaborò alla controinchiesta “La strage di Stato”, in cui si sbugiardava l’impianto accusatorio contro Pietro Valpreda e gli anarchici e si indicava nei servizi segreti deviati e nelle organizzazioni neofasciste i responsabili della strage di Piazza Fontana. Per la Rai seguì il processo di Catanzaro sulla strage. A Piero Scaramucci si deve la restituzione delle dignità pubblica a Licia Pinelli, moglie di Pino, il ferroviere anarchico morto nella Questura di Milano il 15 dicembre 1969. Piero le diede voce con il libro “Una storia quasi soltanto mia”, che ebbe un notevole successo alla prima edizione e numerose ristampe successive. E riuscì a far uscire dal cono d’ombra e di rimozione la figura di Pinelli e della sua straordinaria moglie.

 

Piero ideò e fondò Radio Popolare di Milano, 43 anni fa, partendo dalla scommessa che da sinistra si poteva fare un giornalismo professionale e di qualità dando voce e protagonismo a chi, a quel tempo, non lo aveva. Movimenti giovanili, consigli di fabbrica, associazioni, femministe, gruppi spontanei. Microfono aperto, dunque, ma senza mai rinunciare alla mediazione professionale, a una forma di giornalismo che doveva essere popolare e semplice nel linguaggio ma accurata. Documentata, mai banale e refrattaria alla propaganda. Era pignolo ed esigente, Piero Scaramucci, a dispetto di quei tempi confusi. Ma anche paziente nella missione di educare al giornalismo giovani e rozzi militanti dell’ultrasinistra di allora, molto più inclini agli slogan che alla volontà di informare. La sua lezione ha permesso a Radiopop di sopravvivere fino ad oggi, a dispetto dei periodici rovesci finanziari. E di farlo con dignità. Negli ultimi anni Piero – che ha anche ricoperto ruoli importanti nella Fnsi, il sindacato dei giornalisti italiani – si era ritirato dal fronte professionale dedicando energie all’Anpi di Milano. Lascia rimpianti anche lì.