Giovanni Toti e Giorgia Meloni a un convegno (Foto LaPresse)

Le incognite del post elezioni in Lombardia

Fabio Massa

Il risultato delle europee comincia a dare i suoi frutti. Problemi per Forza Italia che si sfalda e il M5s che qui non c’è

Stagione di dubbi, per la politica lombarda e milanese. Frutto del caos post elezioni, si agitano spettri, si cercano vie da seguire. E forse aveva ragione Tolstoj quando diceva che il peccato principale è il dubbio, poiché chi dubita di tutto si trova sempre nel dubbio.

 

INCOGNITA TOTI - Dove va a finire Giovanni Toti, la cui ombra da Genova si allunga su tutta la politica del centrodestra del nord, e lombardo in particolare? Dove va a parare? Che cosa vuol fare? Prevedibilmente, dopo lo sfaldamento di Forza Italia, il governatore ligure percorre la via del reclutamento. Shopping in Consiglio regionale a Milano, l’altro giorno. Si dice che due, tre, forse quattro persone siano già pronte a migrare dalla Forza Italia di Berlusconi alla “cosa bianca” di Giovanni Toti e Giorgia Meloni. Questo perché Toti si presuppone possa essere una “camera di decontaminazione” verso un futuro approdo nella Lega. Un po’ come in Lombardia è stata ed è la Lista Fontana, che festeggia i buoni risultati elettorali. Serve per andare a fare una proposta moderata all’interno di una cornice nazionale sovranista.

 

Tuttavia Toti è una incognita. Chi ancora non è passato con lui spiega che il governatore ligure non aggrega maggiori voti, ma travasa quelli di Forza Italia. Non crea nulla, dicono i detrattori. Per coloro che invece sono sostenitori dell’opzione totiana, il governatore è una scialuppa di salvataggio importante. Intanto, ad Arcore, c’è chi propende per l’azzeramento globale e complessivo. Ma Berlusconi non ha deciso, e più passa il tempo più si agitano i parlamentari e i consiglieri regionali e i sindaci. Tutti a cercare una via per andare da qualche parte e non vedersi le macerie del partito addosso. Intanto Mariastella Gelmini della Lombardia pare non voglia più sentir parlare, dopo le critiche feroci di alcuni totiani nella riunione post voto. Aveva belle che pronte le dimissioni, è bastato ripresentarle e levarsi d’impiccio.

  

INCOGNITA CINQUE STELLE - Il dubbio è semplice: quella di Luigi Di Maio è un’operazione democristiana oppure è un’operazione di fine politica? Se lo chiedono in tanti, anche qui al nord, in riferimento alla riorganizzazione del Movimento sui territori. L’idea del capo politico del Cinque stelle è apparentemente semplice: le elezioni sono andate male non tanto per il voto di opinione, che per il M5s rimane il traino principale e fortissimo. Ma perché sui territori – e nei ballottaggi lo si vede plasticamente – ognuno fa un po’ come gli pare, senza coordinamento e soprattutto senza cinghia di trasmissione di valori, idee, proposte, stile di comunicazione.

 

Ecco quindi l’idea di varare i coordinamenti territoriali. Inizialmente si pensava ad un responsabile per ogni grande raggruppamento di regioni, poi a un referente per ogni regione. Ora, pare proprio che ci sarà un comitato allargato per ogni “territorio”. Con un problema da “comporre”, si direbbe nel vecchio linguaggio politico, per nulla semplice da dirimere. Gli attivisti sono arrabbiati e non vogliono che siano solo i portavoce ad andare a conferire col vicepremier. E i portavoce, che poi sarebbero attivisti eletti, in questo momento sono ben contenti di lasciare spazio agli attivisti. Il problema è che in un contesto del genere mettere da parte l’organizzazione piramidale che regge il movimento significa cedere all’anarchia. Tanto più che i pentastellati sono più litigiosi dove più fanno fatica: Milano in testa.

 

INCOGNITA RIFORMISTI - Una volta erano tutti insieme appassionatamente sotto l’egida di Matteo Renzi. Poi, complice anche una certa disattenzione del grande capo fiorentino, sono letteralmente esplosi. I riformisti milanesi si sono suddivisi in tanti gruppi, gruppetti, aree. Chi se ne è andato con Zingaretti (ovvero tutto il gruppo dirigente metropolitano), chi se ne era andato con Giachetti. Chi se ne è andato a casa e ci si è chiuso dentro. Ora però, tra un salotto e un caffè, si inizia a pensare al futuro post elettorale, e soprattutto in vista delle possibili prossime elezioni politiche, nonché alla corsa tra due anni per Palazzo Marino. Ovvero: come fare a contare di nuovo, a proporre cose, a realizzare cose. Anche perché Beppe Sala deciderà del suo futuro dopo l’eventuale assegnazione delle Olimpiadi e alla luce della durata del governo gialloverde. Per il momento ha lanciato qualche ballon d’essai, facendo sponda sulle dichiarazioni di stima di Zingaretti, ma si è poi assestato sull’idea di restare al suo posto. Ma il messaggio politico, in ogni caso, ha bisogno di tempo e sforzi per venire alla luce. E, soprattutto, qualcuno che lo porti in grembo.

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