La manifestazione Si Tav di Torino. Foto LaPresse

La tregua armata degli imprenditori dopo le parole di Salvini sulla Tav

Daniele Bonecchi

Bonometti (Confindustria Lombardia) vuole vedere i fatti. E le grandi città del nord (trasversali) chiedono risposte

A qualcuno non è piaciuta la proposta “ticinese” di Matteo Salvini, sul referendum, per completare la Tav. Ha il sapore amaro del rinvio. Almeno fino a dopo le europee, quando l’alleato pentastellato avrà misurato il buco nero nel quale si è andato ad infilare, e il Capitano invece avrà toccato con mano la dimensione (vera) del suo consenso. Un rinvio, per non esacerbare gli animi grillini. Perché quel “i fatti si fanno al Mise”, pronunciato da Luigi Di Maio dopo l’incontro di Salvini col gotha degli industriali italiani, è la spia di uno scontro ormai senza quartiere.

 

Sta di fatto che gli industriali lombardi sono usciti dal loro vertice col ministro dell’Interno soddisfatti, ma in attesa di toccare con mano. “Un incontro positivo, che ha sbloccato il rapporto col mondo dell’impresa”, spiega Marco Bonometti, presidente di Confindustria Lombardia, che non ha mai fatto sconti al governo. “Salvini ha capito che stava venendo meno la fiducia del mondo produttivo lombardo, è stato rassicurante perché ha condiviso tutti i problemi che gli abbiamo proposto. C’è un cambio di rotta ma aspettiamo i fatti”. E sulla Tav? “Ha detto sì perché un’opera indispensabile ma è chiaro che nel governo ci sono due anime. Quello che noi aspettiamo sono le dimostrazioni concrete. Perché un conto è fare i discorsi ai massimi livelli, altro è andare a parlare con una realtà che rappresenta un terzo dell’export italiano. Si gioca la credibilità”, spiega Bonometti. “Noi rappresentiamo l’Italia che produce, che ha saputo resistere alla crisi investendo e innovando. Le nostre imprese pagano ogni anno ai 700.000 dipendenti circa 40 miliardi di euro di stipendi, pagano circa un milione e centomila pensioni di vecchiaia dell’Inps con 16 miliardi di contributi versati. Uccidere l’impresa sarebbe un atto di eutanasia per l’Italia, ed il governo ne assumerebbe la totale responsabilità anche verso le generazioni future”.

 

Risultati concreti? “La cura non può essere l’aumento del debito, che la manovra produrrà con certezza, mentre le ricadute positive sono solo speranze, le cui fondamenta sono, peraltro, contestate praticamente da tutti, dal mondo finanziario al mondo scientifico, dalle Istituzioni mondiali al mondo del lavoro, con rara e significativa condivisione tra imprenditori e lavoratori. Salvini si è reso conto che nella finanziaria bisogna togliere risorse per l’assistenzialismo e metterle sulla crescita e lo sviluppo. Bisognerà vedere se ci riuscirà. Gli industriali non hanno chiesto mance o mancette, ma di essere messi nelle condizioni di far bene il loro lavoro”, conclude il leader degli industriali lombardi. In Lombardia, sia il governatore Attilio Fontana che il sindaco Beppe Sala, fanno il tifo per le grandi opere, a partire dalla Tav, un frammento del corridoio ferroviario est-ovest destinato a favorire il territorio, come il Terzo Valico. Una battaglia comune esattamente come il prolungamento della metropolitana (M5) da Milano a Monza e – rilanciata con soddisfazione la BreBeMi – con il completamento della Pedemontana lombarda, che “si conferma particolarmente attrattiva per il mondo imprenditoriale, come dimostrano le manifestazioni di interesse presentate da importanti operatori privati – spiega l’assessore alla Mobilità della Regione Claudia Maria Terzi, col riferimento all’ultimo bando della società che ha visto la partecipazione di 11 imprese. “Chi vuole bloccarla – prosegue Terzi – ignora le necessità della Lombardia a livello infrastrutturale, e ignora il sostegno che l’opera riscuote presso il sistema imprenditoriale nel suo complesso. Come ha detto più volte il presidente Fontana, la Lombardia non si ferma: la Pedemontana andrà avanti con il sostegno degli investitori”.

 

E la Regione considera “strategica” anche la contestatissima autostrada Cremona-Mantova, per verificarne tempi e procedure di realizzazione ha convocato un tavolo con tutti i protagonisti del territorio il 22 gennaio. Oggi al Mico, in Fiera, le piccole imprese che si riconoscono in Confartigianato, si riuniscono per dire sì allo sviluppo dell’Italia. Hanno dato vita a “Quelli del sì”. Il messaggio al governo è chiaro e forte: il futuro non si ferma, indietro non si torna, bisogna ascoltare la voce delle imprese e servono politiche a sostegno del mondo produttivo rappresentato per il 98% da artigiani, micro e piccoli imprenditori. Servono investimenti nelle infrastrutture, ma sì anche a reti e connessioni per il trasferimento dei dati e della conoscenza. E a un mercato del lavoro (frustrato dal decreto Dignità) che valorizzi il merito e le competenze. E sì all’Europa con l’euro moneta comune. Se non è una dichiarazione di guerra alla cultura pauperista del M5s poco ci manca.

 

Il fronte dei dissidenti si allarga. Perché la manovra che non piace coinvolge anche gli amministratori locali. E, nella sorpresa generale, a firmare un appello contro l’esecutivo sono amministrazioni diverse: dal comune di Milano alla Genova leghista, fino ad arrivare a Torino pentastellata. L’appello al governo l’hanno firmato gli assessori al Bilancio, per lasciare mano libera ai sindaci, ma l’impatto è forte. E’ una inedita alleanza (c’è anche Bologna) sul tema del Bilancio degli enti locali. I rispettivi assessori Roberto Tasca, Sergio Rolando, Pietro Piciocchi, Davide Conte esprimono “grande preoccupazione per i nuovi pesanti tagli di risorse sulla parte corrente del Bilancio degli enti locali, presenti nel disegno di legge di stabilità approvato dalla Camera venerdì scorso”. La preoccupazione delle quattro grandi città riguarda, in primo luogo, l’abolizione del fondo consolidato di 300 milioni che rimborsa i Comuni del minor gettito derivante da agevolazioni per Imu e Tasi decise in passato. Ma c’è anche l’incremento di ben 10 punti della percentuale di accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità che gli amministratori vorrebbero trasformare in un reale fondo di svalutazione crediti, con conseguente riduzione di questa riserva. Restano poi da risolvere alcune annose vertenze, tra cui il pieno riconoscimento dei crediti dei Comuni che hanno sostenuto ingenti spese per assicurare il funzionamento dei Tribunali. Insomma i comuni non vogliono restare col cerino acceso. E i gilet gialli spaventano a tutte le latitudini.