Una scritta di Autonomia Operaia negli anni 70 a Milano. Foto Wikipedia

I Settanta da scoprire. Un libro

Stefania Vitulli

Bel romanzo-catalogo-guida alla città di Milano nei suoi anni plumbei. Posti, nomi, no nostalgia. Sorrisi

Ci sono le ideologie, di cui magari parliamo un’altra volta. E poi ci sono i luoghi e le persone di quando ci credevi ciecamente (ai luoghi, alle persone, forse alle ideologie). Che basta nominarli e ti torna su il sapore di quegli anni Settanta, a Milano, quando eri adolescente, ma soprattutto membro del Movimento studentesco del Liceo Scientifico X di via Cagnola con il nome in codice “Opossum”. Bruno Osimo, scrittore e traduttore, classe 1958, ha raccolto i suoi sapori e i suoi ricordi degli anni Settanta milanesi in “Breviario del rivoluzionario da giovane”, in uscita il 18 gennaio per Marcos y Marcos. Da “QT8” a “V.o.sott.it”, da “Orchidea” a “Radio Canale 96”, il volume avrà anche “un altissimo contenuto dogmatico”, come scrive l’autore nella prefazione, ma è soprattutto un modo, per chi non c’era, di sorridere scoprendo una città che non c’è più. E per chi c’era, di sorridere tout court, finalmente, che pare invece che ai tempi a Milano si prendesse tutto molto sul serio.

   

“Se un giovane milanese di sinistra negli anni Settanta fosse stato proiettato ai giorni nostri ci avrebbe trovato in pieno riflusso”, ci spiega, chiacchierando del suo libro, Osimo. Sarebbe rimasto scioccato dalle zone pedonalizzate, dalla riapertura dei Navigli, dall’impegno ecologico: “Vertigini borghesi per abbindolare le masse, stronzate totali per aggiustare l’esistente senza far esplodere le contraddizioni”, avrebbe detto. A Milano oggi è rimasta solo una sorta di “ideologia della produttività e della res publica”, come quella dei passeggeri della 90 che l’altro giorno son scesi a spingere il filobus”. E sui siti dei giornali sono diventati “immagine simbolo”, per dire i tempi.

   

I 73 lemmi di Osimo fanno un romanzo, più che evocativo, più che autofiction proprio autobiografico, come si sarebbe detto negli anni Settanta. Ci sono i nomi dei suoi compagni di scuola e le storie d’amore, che sono anche belle ma non ci fanno venire la stessa nostalgia delle parole e dei posti di Milano. Parole. Tipo “dirigentini”, quelli con il loden verde (mentre c’era l’impermeabile beige con le spalline militaresche per i ciellini, l’eskimo per la base anonima) che fanno parte di una delle sette della religione extraparlamentare: Lotta Continua, Avanguardia Operaia, MS, Servire il popolo, Fgci. Ai fascisti si sprangava perché lo dicevano i “dirigentini” e, una volta trasformati da milanesi beneducati a rivoluzionari (“Milano rossa col sangue dei fascisti”), si smetteva anche di pagare il biglietto della 61.

  

Oppure posti. Tipo la Cineteca San Marco: scopri Brera e vedi solo film belli o quelli che ti sei perso, magari perché eri troppo piccolo quando Bunuel faceva i film in bianco e nero e in uno spagnolo strano e hai visto solo “Il fascino discreto della borghesia” all’Arcobaleno, in viale Tunisia. E poi, da giovedì 25 marzo 1976, anche un Cinestudio nuovo, davvero per pochi, perché è piccolissimo e non lo conosce quasi nessuno, dal nome bolscevico-esotico “Obraz”. E poi mille altre parole e altri posti solo milanesi, come “montagnetta”, “spaccio della Rinascente in via Col Moschin”, “Teatro Tenda” (il primo davvero popolare perché davvero scomodo), via De Cristoforis (il sabato pomeriggio alle due per il “concentramento”), via Caracciolo e piazza Caneva (poca luce, tante autoradio da rubare e una farmacia per le siringhe: i regni dei tossici) e poi l’eterna regina delle parole di ogni generazione milanese, che crede sempre di averla coniata ex novo: “fighetto”.

  

Note di abbigliamento

Negli anni Settanta a Milano i fighetti erano i “sanbabilini”, gli unici a potersi definire “stilisticamente fascisti”: “Il quadrilatero della moda serve anche a questo” commenta Osimo. “Il mio personaggio si mette solo i jeans Roy Roger’s a sigaretta, con la tasca dietro con la lampo, fondamentale per non perdere chiavi di casa e portafogli quando si corre nelle manifestazioni. L’abbigliamento di ogni gruppo era un’uniforme: per i sanbabilini stivali a punta lucidi, per il Movimento Studentesco sempre stivali, ma camperos”. Però ormai Obraz e San Marco hanno chiuso: oggi quei giovani anni Settanta a Milano dove si ritrovano? “Fino a dieci anni fa avrei detto all’Anteo, ma oggi è diventato una multinazionale”, dice Osimo, e ipotizza: “Forse alla libreria Verso, dove presento il volume il 15 gennaio. O comunque in libreria: ormai chiacchierare con un libraio e comprare un libro a prezzo pieno è diventato un gesto rivoluzionario”.

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