Stefano Buffagni. Foto LaPresse

Buffagni, l'uomo del Nord per rendere presentabile Di Maio

David Allegranti

Attivista dal 2010, è consigliere in Lombardia, una regione che non dà soddisfazioni al M5s

“L’anno prossimo facciamo la storia. Tutti insieme”, si lancia il milanese Stefano Buffagni, accompagnatore di Luigi Di Maio nella sua campagna da candidato presidente del Consiglio (già era andato con lui a Cernobbio), in un video tra il natalizio e il capodannesco con albero sullo sfondo e palle appese. Se sarà storia o più modesta cronaca lo vedremo presto. Intanto però chi è e che cosa fa questo Buffagni, classe 1983, le cui quotazioni casaleggiane sono assai cresciute negli ultimi mesi?

 

Consigliere regionale in una regione che non dà soddisfazioni al M5s, attivista dal 2010, Buffagni avrebbe dovuto candidarsi alle prossime elezioni lombarde del 2018. Elezioni dove però non c’è partita per la Casaleggio Associati e il suo movimento politico: il duello è tutto fra il centrosinistra di Giorgio Gori e il centrodestra di Roberto Maroni. D’altronde, già cinque anni fa il M5s non andò bene: la candidata Silvana Carcano prese appena il 13,62 per cento e nel 2016, alle comunali milanesi, il candidato Gianluca Corrado ha raccolto uno scarso 10,06. Per questo alla fine, anziché organizzare un suicidio politico, è stato deciso di dirottare Buffagni altrove e di schierare Dario Violi come candidato per il Pirellone. Anche perché, statuto alla mano, Buffagni ha a disposizione soltanto un altro mandato da spendere nelle istituzioni, vista le stringenti regole del M5s (e per questo, stando ai precedenti, facilmente violabili). Anche lui, come certi predecessori scesi in politica, decisamente più illustri, ha sentito la chiamata del popolo che lo voleva. “Ad ottobre 2012, dopo l’ennesimo scandalo in Regione, ho assecondato ‘la spinta’ di tanti amici, e ho deciso di mettermi in gioco in prima persona per cercare di fare qualcosa di buono per questo nostro paese, dove conto di rimanere ancora a lungo”. Non è chiaro se sia una promessa o una minaccia. Nel frattempo, prima di eventualmente emigrare, c’è da far campagna elettorale per se stessi e per Di Maio, visto che a Buffagni, di professione commercialista, è stato demandato anche il compito di accreditare il nuovo Capo Politico negli ambienti imprenditoriali milanesi.

 

A novembre Buffagni aveva accompagnato Di Maio a un incontro con il presidente di Confesercenti Lombardia, Gianni Rebecchi, e una cinquantina di imprenditori nella sede dell’associazione. Al Corriere ha detto di voler parlare con tutti, anche con l’ex odiato mondo finanziario. “Ascoltiamo tutti, ma portiamo avanti le nostre idee con convinzione”. Anche con Assolombarda e Confindustria, “ma tenendo presente che uno Stato ha il dovere di difendere le sue imprese e che deve farlo nell’interesse della collettività.. E’ l’approccio di Mattei, a cui mi sono sempre ispirato: a guidare l’azione politica devono essere gli interessi di tutti gli italiani”.

 

Raccontano che Buffagni abbia molto credito nella Casaleggio Associati (va a pranzo con Davide Casaleggio e Beppe Grillo) e che la sua visibilità cozzi con altre ambizioni politiche, come quella di Danilo Toninelli, presunto esperto di riforme costituzionali, che non lo ama. Troppi galli in un pollaio? Lui, forse perfidamente, sul suo blog ha messo in copertina una foto che lo ritrae a passeggio con Di Maio e lo stesso Toninelli. La visibilità è arrivata anche grazie al referendum sull’autonomia, durante il quale ha battibeccato spesso con la Lega nella gara dell’indipendentisticamente corretto. “Se non ci fossimo stati noi – ha rivendicato ai tempi della consultazione sull’autonomia – il referendum non ci sarebbe stato. Siamo stati noi in Lombardia a scrivere un quesito costituzionale, mentre la Lega continuava a parlare di sciocchezze indipendentiste”. Così parlò Buffagni, tra imprenditori da conquistare e voti leghisti da contendere.

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.