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Nella capitale del co-working, dove regna la "zainocrazia"

Redazione

Settantotto spazi in città, gruppi leader come Talent Garden. Tra lavoro agile e "nomadismo professionale"

Lavorare è un obbligo. Come farlo una scelta. Che sia in spazi condivisi, svolto in versione “smart”, effettuato in movimento, magari con uno zaino in spalla non importa. Ma se il fine giustifica i mezzi, è altrettanto vero che il tessuto connettivo cittadino deve garantire delle soluzioni. E così, come va ribadendo da anni l’assessore alle Politiche del lavoro, alle Attività produttive, Commercio e Risorse umane di Palazzo Marino, Cristina Tajani, la città e le istituzioni agevolano le nuove modalità di impiego. Che si traducono poi in quella che dal 2013 è la Smart City della Regione. Una città, Milano, nella quale a tutt’oggi gli spazi dedicati al co-working sono passati, in un crescendo rossiniano, da 62 a 78. Anche perché al contempo, aumentano e si moltiplicano le partite Iva: 13.984 quelle attività nei soli prima quattro mesi di quest’anno. Professioni e professionisti che spesso necessitano di una rete di sostegno ma anche e soprattutto di un network per crescere e proliferare. Perché un’idea tira l’altra. Ed è da questo concetto che si sono sviluppati tutta una serie di spazi, privati, destinati ad accogliere questo nuovo pubblico: che siano start-up o che siano spin-off di realtà già esistenti, la richiesta di location ad hoc per progetti innovati lievita. Non per nulla, il primo player su scala cittadina, Talent Garden, oggi conta 19 sedi, 15 della quali in Italia, e ha a Milano il suo cuore pulsante. Nelle strutture del progetto che oggi è sostenuto dal principale venture capital quotato a Piazza Affari, ovvero Digital Magics, dalla banca d’affari Tip e da tanti imprenditori e manager privati, hanno trovato (fissa) dimora 450 aziende, 1.500 talenti con 35 mila iscritti al club del progetto co-fondato dal presidente Davide Dattoli e che oggi ha anche una scuola di formazione (o innovation school) diretta da Alessandro Rimassa. E se Tag è il progetto più rilevante sviluppato in Italia ed esportato in Europa (Barcellona, dove si studia il raddoppio, Tirana, Kaunas e ora si valuta anche l’Irlanda), chi ha seguito e replicato, con successo, il modello degli spazi di lavoro in condivisione è Copernico che oggi conta 8 location tra Milano, Venezia e Bruxelles, ospita 686 aziende e 2.400 professionisti in 620 uffici. E tra i 78 progetti di spazi co-workging dislocati sul territorio milanese spicca anche Base, la location ricavata, in centro, negli spazi ex Ansaldo (6 mila metri quadrati) su iniziativa in particolare di Arci Milano che ha come partner proprio il Comune e gode del sostegno della Fondazione Cariplo.

 

Ma se il lavoro deve diventare sempre più condiviso, può essere anche smart o, volendo, agile. Chi da casa, chi da un bar con wifi o chi da una scrivania volante trovata in uno dei tanti spazi dislocati per la città, capita sempre più spesso di aver a che fare con lavoratori che godono della discrezionalità nella definizione delle modalità d’impiego. Certo, una filosofia, tipica da multinazionale, magari made in Usa, ma sicuramente un way of life per migliorare le prestazioni e prendersi più spazio, questa volta in chiave personale. Un concetto che, come sostiene il professore Leonardo Previ, docente di Gestione delle risorse umane dell’Università Cattolica, si esplica in una sola parola, assai icastica: zainocrazia. Ossia, come si legge anche nei post più recenti pubblicati su LinkedIn, “una condizione più adeguata ai tempi attuali e a quelli imminenti”. Ma anche “una dimensione professionale che un numero crescente di lavoratori sta assumendo, per scelta o per necessità”. Una opzione che, per Previ, diventa anche “il migliore antidoto contro la burocrazia che sta immiserendo le persone all’interno delle organizzazioni d’impresa a conduzione manageriale”. Tradotto: zaino-ufficio in spalla e via. Un concetto molto giovanilistico di lavoro che si è già tradotto in due corsi universitari e che verrà esplicitato in un libro-testamento, “Zainocrazia”, in uscita dopo l’estate dall’editore Lswr. “Gli zainocrati sono i nostri figli, coloro che con l’aiuto di uno zaino sono in grado di affrontare al meglio la volatilità, l’incertezza, la complessità e ambiguità dell’odierno mercato del lavoro, sfruttando al meglio le proprie capacità fisiche e mentali”, ha aggiunto Previ, intervenendo a un recente dibattito sul tema del “nomadismo professionale”, collegato all’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano, curato dall’istituto di ricerca Doxa di Marina Salamon. E se in Italia si contano oggi 6,2 milioni di partite Iva che hanno bisogno di un tavolino, un pc, una connessione internet e, possibilmente, contatti, sta esplodendo il fenomeno dei lavoratori agili, che oggi sono oltre 250 mila su scala nazionale (ormai il 7% di tutti gli impiegati, quadri e dirigenti attivi in Italia). Figure professionali che, grazie al nuovo Jobs Act autonomi, approvato in Senato lo scorso 10 maggio, si vedono garantiti parità di stipendio, parità contrattuale e diritto alla disconessione a chi lavora in remoto. Una svolta se è vero che, come ha sottolineato Wilma Scarpino, ad di Doxa, dal 2013 al 2016 il tasso di crescita di queste figure professionali è cresciuto del 40%. Ma del resto, anche le aziende, si sono rese conto che questi lavoratori agili, per la gran parte uomini (69%) con un’età media di 41 anni, concentrati al nord (26% nel nordovest e un altro 26% nel nordest) che, comunque, anche lontano dagli uffici, lavora in media 9 ore al giorno vede incrementare non solo la quantità del proprio lavoro (dal 23% al 28%), ma anche la qualità dello stesso (dal 26% al 34%). Farlo smart e farlo in co-abitazione, allora, davvero aiuta. Soprattutto in un’epoca di grandi e non sempre facilmente interpretabili trasformazioni.

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