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Trenord, tutte le stazioni di una Via crucis politica e gestionale

Daniele Bonecchi

È stagione di nomine per i nuovi vertici della società che opera nel settore del trasporto ferroviario della Lombardia. Tra ambizioni e pressing dei partiti, un servizio criticato dagli utenti e alcuni nodi irrisolti

"Non dire gatto”, diceva il Trap. E così chi ha già venduto la pelle dell’orso, cioè di Andrea Gibelli, resterà deluso. Al totonomine infatti l’ex vicepresidente della Regione resta in sella (salvo sommovimenti dell’ultima ora) alla guida di FNM e con un piano industriale in apparenza solido, dando ragione ad Attilio Fontana. Ma Trenord si conferma il buco nero dell’amministrazione regionale, e una sentina di quotidiani dolori per gli utenti lombardi che ne pagano oltre la metà del costo.

Il partito di Giorgia Meloni – che voleva salire sulla locomotiva lombarda – dovrà probabilmentre accontentarsi di presidiare, con Beniamino Lo Presti, il cda. Fontana insiste sul necessario cambio di passo per Trenord, ma trovare il cavallo vincente non è facile, tenuto conto che l’attuale ad Marco Piuri è destinato a lasciare, ma non si vedono all’orizzonte manager più strutturati di lui. “Non serve un manager improvvisato – spiega Giovanni Abimelech, segretario regionale della Fit Cisl – perché Trenord non è un’azienda di capitale, gestisce unicamente il servizio ferroviario. Se non ci sono persone competenti c’è il rischio di cambiare in peggio. In queste aziende si concentra tutto sull’amministratore delegato mentre servirebbe un direttore generale in grado di gestire i processi industriali”. La Regione ha concesso un contratto di servizio decennale senza metterlo a gara, che ha obiettivi importanti: “L’azienda ha un portafoglio di 5,5 miliardi che le consente di sostenere il piano industriale e gli investimenti tecnologici. Ma si cambiano le poltrone o gli obiettivi? Fateci capire cosa volete fare”, insiste il segretario della Fit. “Il trasporto ferroviario in Lombardia vale come quello del Belgio o del Portogallo. Piuri da direttore generale di FNM e come ad di Trenord assicura i processi d’investimento”, conclude Abimelech. Ma ci sono gli appetiti per le nomine, e c’è anche la necessità di far pagare a qualcuno il prezzo di ritardi e disservizi.

Il vero tema, assieme al mancato potenziamento delle reti, che agita i pendolari. Come placebo la Regione ha deciso di alzare l’indennizzo dal 10 al 30 per cento sui ritardi, per i titolari di abbonamento mensile o annuale, abrogando però il bonus che scattava automaticamente. Alzando di fatto bandiera bianca. “L’aumento dell'indennizzo – spiega l'assessore regionale ai Trasporti, Franco Lucente – rappresenta un segnale concreto della nostra attenzione alle esigenze dei viaggiatori. L’obiettivo è migliorare la qualità del servizio ferroviario in Lombardia e incentivare l’utilizzo del treno come mezzo di trasporto sicuro, efficiente e sostenibile”. Naturalmente i pendolari preferirebbero dei treni puntuali, anche se Lucente insiste: “i treni sono puntuali entro i 5 minuti di ritardo all’8 per cento e all’88 entro i 7 minuti e al 97 entro i 15 minuti. I ritardi sono imputabili per il 42 per cento a cause esterne. Poi, per il 24 per cento a carenze nel materiale rotabile, e per il 7 per cento a mancanza di materiali”. Cause esterne e carenze del materiale rotabile che hanno un nome e un cognome: Rfi, del gruppo FS-Anas che gestisce anche gran parte delle strade ferrate lombarde. Insomma sempre Roma nemica, ma il ministro dei Trasporti non è forse il capo della Lega? 


Ad aprire uno scenario diverso ci pensa Pietro Bussolati, consigliere Pd, già segretario regionale, animatore del riformismo lombardo: “Anche il costo stratosferico della casa a Milano è influenzato dal fatto che non abbiamo un servizio ferroviario regionale efficiente. Un tema da affrontare con urgenza poi sono le infrastrutture ferroviarie inadeguate, come le strettoie sulla Rho-Gallarate ma anche il nodo ferroviario di Milano. Anche Fontana aveva parlato di un nuovo Passante ferroviario, che sarebbe necessario. Al fondo c’è una scelta politica che la Regione ha subìto: si è preferita la viabilità su gomma e non su ferro”, (come ha ricordato anche Beppe Sala all’evento sull’Econonomia del Foglio dello scorso sabato).

Ma invertire la rotta non è facile e non bastano I cahiers de doléances della sinistra. “Occorre sciogliere i nodi della governance – spiega Bussolati – oggi Trenord è controllata al 50 per cento da Ferrovie Nord Milano mentre l’altro 50 da Trenitalia, ed è così che ha vinto lo scaricabarile su chi dovesse investire e dove. Per sbloccare la paralisi della governance – permettendo alla Regione di avere la maggioranza – si potrebbero aggregare soggetti che fanno servizi simili di Tpl, come Atm, favorendo un grande progetto di integrazione delle reti. Nascerebbe così un grande soggetto regionale pubblico in grado di investire. C’è un’altra strada: quella della gara pubblica europea, come ha deciso di fare Bologna, con una società che tiene assieme l’impresa pubblica regionale e Trenitalia: si chiama Tper, che ha vinto la gara ma ha dovuto impegnarsi direttamente coi pendolari”, conclude Bussolati. Ma a proposito di decisioni strategiche: per ora Trenord si accontenta di far viaggiare gratis cani, gatti e biciclette.
 

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