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Il “nostra culpa” di Salvini per  vincere il prossimo sindaco di Milano

Fabio Massa

 Mancano tre anni, ma stavolta la destra deve evitare gli errori del passato: un’idea di città e un candidato 

Parliamo del prossimo sindaco di Milano. Matteo Salvini, facendo un mea culpa non scontato, poiché capire gli errori è una scelta complessa, inizia a mettere l’arrosto sul fuoco. Il mea culpa che non ti aspetti è questo. Presentando alle Stelline il libro di Silvia Sardone “Mai sottomessi”, il leader della Lega ha detto: se abbiamo perso “una, due, tre volte” la corsa per il sindaco – Pisapia, Sala, Sala – “la colpa non è della sfortuna: non siamo stati abbastanza bravi, sono stati anche errori del centrodestra. Quindi prepariamoci perché è vero che mancano tre anni, ma tre anni passano in un quarto d’ora”. Un sindaco non si improvvisa, serve prima di tutto un’idea per la città. E qui c’è il mea culpa – certamente non solo della Lega, ma di tutti i partiti, diciamo un “nostra culpa” – per errori grandi come una casa. L’arrosto sul fuoco, che cuocerà lentamente, fino alla fine del secondo mandato di Beppe Sala, è invece questo: chi sarà il futuro candidato del centrodestra? Domandina che non può esistere senza la domandina dirimpetto: chi sarà il nuovo candidato del centrosinistra? Arrosto, non fumo: il piatto forte dei prossimi anni.


A Milano, per la prima volta da quindici anni, potrebbe cambiare davvero tutto. Se ci si pensa, sarà un momento epocale. Perché è pur vero che il sindaco Sala non è stato la continuità con Giuliano Pisapia, ma è anche vero che Beppe Sala arrivava alla candidatura da primo cittadino dopo la guida di Expo. Era il predestinato, già mesi prima delle primarie e della conferma ufficiale delle primarie e poi delle urne. Certo, Stefano Parisi era stato un avversario tosto, complicato da battere. Poi Parisi si è perso nelle nebbie, ha mollato la politica, e un’ipotesi di opposizione, e pure la sua creatura, Chili: sic transit gloria mundi. E Sala ha governato, iniziando un ciclo che si concluderà nel 2027. Attenzione: non nel 2026, come qualcuno continua a sostenere, ma nel ’27. Così dice la norma, con il calendario stravolto dalle elezioni posticipate causa Covid. Sempre che – rumors dal Parlamento – qualcuno non riesca nell’impossibile missione di inventare il terzo mandato per i sindaci. (Ma ne avrebbe voglia, lui?).
Torniamo all’inizio: Salvini inizia a infornare l’arrosto. Se sarà solo fumo, come fu con Luca Bernardo, candidato perdente e che ha perso (ma ha perso molto peggio il centrodestra che non riuscì a costruire una candidatura sfidante), lo vedremo. Ma il tema esiste anche a sinistra, ed è un tema grosso. I nomi ci sono, c’è chi si scalderà alle primarie. Quello che manca è il fermento intellettuale, la capacità di provare a dare risposte forti e diverse ai temi della contemporaneità. Identico problema a destra, anzi più serio, visto che da quindici anni non è la destra che esprime l’idea di Milano. E se il centrodestra continuerà a sclerotizzarsi sui temi della sicurezza (Sala-Salah e tutte le boutade buone solo per quelli che votano a destra, neanche tutti) rischia di ripetere un copione trito e perdente. Che la sicurezza sia un tema è certo. Che la risposta sia quella che per tre volte su tre è stata bocciata, è assai discutibile. Che la viabilità sia un tema è sicuro: ma opporre i diesel alle piste ciclabili funziona per chi arriva in città da fuori Milano (e, purtroppo, non si voterà per la Città metropolitana), ma per i milanesi pare proprio una strategia non funzionante.


Ci sono analisi, fatte da recordman di preferenze a Milano, che raccontano di una città che vota per il 70 per cento all’interno della circonvallazione della 90-91. Se volete individuare idee e candidato per per la destra iniziate da qui, visto che 15 anni fa quello era il suo territorio di caccia. Ci sono analisi, fatte da recordman di preferenze a Milano, che raccontano di una città che vota per il 30 per cento fuori dalla circonvallazione della 90-91. Inizi da qui invece la sinistra, visto che un tempo era il suo territorio e adesso è il regno dell’astensionismo.  In mezzo c’è la disfida delle europee, soprattutto a destra. Perché a sinistra è poca roba: ci si rassegna a meno europarlamentari, e stop. Al massimo l’unico interrogativo è: quanti saranno i paracadutati di Elly? A destra, invece, le chiavi di lettura sono molteplici. C’è la Lega che deve necessariamente comprimersi, dal 34,3 per cento di allora al 10 circa di oggi. Sono otto, saranno due i futuri eletti, se va bene tre forse con i resti. Questo dicono i bookmaker. E la campagna tutta interna è già cominciata per accaparrarsi le preziosissime preferenze. Fratelli d’Italia, viceversa, vedrà allargarsi i ranghi. Dai due rappresentanti di oggi (Fidanza e Fiocchi), con il 6,5 per cento dei voti, dovrebbe passare a 7/8 europarlamentari nel Nord-Ovest. Il punto non è però sapere quanto sarà folta la pattuglia, ma chi andrà in Europa arrivando primo. E, dunque, segnatamente una sola cosa: il primo sarà Mario Mantovani oppure no? L’ex sottosegretario azzurro, già vicepresidente di Regione Lombardia, scalda già i motori. Intanto però si sta scaldando la situazione anche con il gruppo regionale, dove ci sono un po’ di esponenti in freddo con il capogruppo Christian Garavaglia. E in fondo il tema vero è capire quali saranno gli assetti dominanti del partito lombardo: il ticket Ignazio-Santanchè? Il gruppo di Marco Osnato? Il gruppo di Carlo Fidanza? Oppure quello di Mario Mantovani?