Gran milano

Con le mostre a Palazzo Reale Milano si scopre spagnola

Cristina Marconi

Due mostre complementari su El Greco e Francesco Goya illuminano il rapporto tra “una città e un paese”

Con El Greco sulla destra e Goya sulla sinistra, di questi tempi entrando a Palazzo Reale gira un po’ la testa: avere in contemporanea due mostre enormi su artisti a cui in Italia non è mai stato dato eccessivo spazio ha qualcosa di sorprendente e qualcosa di molto piacevolmente familiare, il sapore di un milanesado artistico di altissimo livello nato da una minuziosa ricerca e da una gran cooperazione. “Ormai me lo chiedono i miei colleghi al ministero a Madrid, se sono ambasciatore a Roma o a Milano”, scherza Miguel Ángel Fernàndez-Palacios Martinez durante la conferenza stampa di presentazione di “Goya – La ribellione della ragione”, quasi una fotocopia di quella che si era tenuta all’inizio di ottobre per El Greco, pittore cretese passato per l’Italia e consacrato dalla Spagna e dalla città di Toledo. Spagnoli i curatori, certosino il lavoro di prestiti e di raccolta delle opere, c’è una coerenza di fondo che rende le due mostre complementari, due iniziative che, per dirla con l’assessore alla Cultura Tommaso Sacchi, illuminano il rapporto tra “una città e un paese”. Complice anche la scoppiettante presidenza spagnola del Consiglio europeo, insieme alla mostra ci saranno eventi, un po’ di promozione del turismo, qualche conferenza all’Istituto Cervantes e, prima del concerto conclusivo a marzo del Cuarteto Quiroga, altri tre concerti della Filarmonica di Milano nella Sala delle Otto Colonne, con un programma in cui è molto presente Luigi Boccherini, che ha vissuto gran parte della sua vita in Spagna e che è stato a lungo amico di Goya, con la sua “Musica notturna nelle strade di Madrid” fino al celebre “Stabat Mater”.

Goya è un artista che ha passato gran parte della sua vita a fare arte su committenza e poi la seconda parte a fare cose per sé”, ha spiegato Domenico Piraina, direttore del museo, mettendo in evidenza l’ironia della sorte per cui Francisco Goya y Lucientes (1746-1828) abitava a Calle del Desengaño 1, la via del disincanto, strada che ha percorso fino in fondo nella vita: la teoria del Goya Bianco e del Goya nero qui non trova piena conferma, lo stacco non è netto, “la ribellione della ragione” racconta l’evoluzione psicologica di un artista che ha vissuto abbastanza a lungo da vedere molti orrori per raccontarli senza mai dimenticare di farsi beffa dell’essere umano, bestiale, che li va perpetrando. Il pittore sloveno Zoran Mušičdiceva che l’orrore che aveva vissuto a Dachau l’aveva già osservato nei “Disastri” del pittore, alcuni dei quali sono presenti, freschi di restauro insieme ad altre incisioni, nei saloni allestiti da Studio Novembre. “Un’impresa eroica! Con morti!”, è il titolo di una incisione della serie incentrata sul tema della guerra. Gli anni Novanta lo segnarono sia per gli eventi esterni – venne decapitato il re francese – ma anche per quelli personali, visto che diventò sordo in seguito a una malattia. Un chiudersi in sé, quello del pittore, che porta risposte forti: difficile vedere torti e ragioni nei suoi quadri, la realtà grottesca della violenza è quella che sceglie di far passare alla storia. “Lui è un razionalista, uno che crede nelle idee e crede in una visione razionale della società”, ha spiegato il curatore Victor Nieto Alcaide, della Real Academia di Bellas Artes de San Fernando di Madrid, dove Goya ha insegnato “quest’arte difficilissima, che più di ogni altra si avvicina al divino” predicando libertà di stile e di espressione. Nei quadri di critica della guerra mostra sempre la crudeltà dell’assassinio, basta con l’eroismo altisonante del passato, è la ferocia che resta, l’assenza di ragione, la mancanza di quella scintilla umana e intellettuale massima espressione dell’umano – sommamente presente in certi ritratti e nei due autoritratti – soprattutto quando il mondo è in collusione, in una fase di violento cambiamento. Capolavori che hanno un modo particolare di scuotere lo sguardo, nel contesto famigliare di una Milano mai così spagnola. 
 

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