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Volete i tigli o la Resistenza? Il disastro simbolico della sinistra

Giovanni Seu

Il glicine di Piazzale Baiamonti divide la sinistra milanese e scava un fossato tra Consiglio e Giunta

Il glicine di Piazzale Baiamonti non è riuscito soltanto a dividere in due la sinistra milanese e a scavare un fossato tra Consiglio e Giunta. Ha dato spinta a una mobilitazione popolare che ha avuto il suo apice con Giovanni Storti, membro del celebre trio, che martedì scorso si è arrampicato sulla cancellata del parco che circonda l’ex distributore della Tamoil per impedire l’abbattimento di due tigli che non è stato possibile salvare. Un’iniziativa teatrale, a uso dei fotografi, che non è riuscita a nascondere il vero obiettivo del comitato Baiamonti: che è sempre stato quello di impedire la costruzione del Museo della Resistenza. Il perché è spiegato in un documento a dir poco sopra le righe in cui non ci si limita a denunciare l’abbattimento di alcune piante, ma è presente una critica serrata di tutto il progetto affidata a uno studio d’architettura. Ne viene fuori che l’edificio progettato sarebbe “polifunzionale, buono per tutti gli usi ma non per quello museale”, inoltre è “un edificio che si oscura e si chiude in sé, impermeabile alle vicende correnti del territorio”. Ma non è tutto, la sua vista panoramica è “verso i grattacieli di City Life e Gae Aulenti ma non consente scorci del Monumentale e del Duomo”, è “oneroso” con i suoi 11.180 euro per mq, e potrebbe danneggiare le mura spagnole.

  

Ma soprattutto, questa è forse l’accusa più polemica, è opera di Coima, protagonista della speculazione edilizia in Porta Nuova e in altre parti della città. Se consideriamo queste posizioni risulta debole, se non inutile, l’iniziativa tentata lo scorso maggio dal sindaco che, viste le proteste ambientaliste in gran parte per mano del Comitato, aveva annunciato una revisione del progetto. La settimana scorsa l’assessore all’Ambiente Elena Grandi ha presentato i risultati dei lavori: saranno salvaguardati il glicine madre, il bagolaro e i due tigli per i quali è già stata realizzata la potatura e la messa in sicurezza. Si tratta di una modifica importante rispetto alla formulazione iniziale ma non sufficiente a convincere neppure quella parte del Consiglio che sino all’ultimo ha invocato una variante per proteggere anche i due tigli e il nespolo che non è stata possibile salvare. Nel fronte dei favorevoli si tira, invece, un sospiro di sollievo. Tirando le somme di questa vicenda, secondo Filippo Barberis il bilancio è positivo: “Siamo riusciti a realizzare due obiettivi: raccogliere altri 11 milioni di finanziamenti ministeriali e mitigare l’impatto sul patrimonio arboreo. E’ stato fatto quanto possibile, la variante richiesta da alcuni consiglieri non era praticabile perché il cantiere è già partito, non c’erano i tempi amministrativi per approvarla”.

 

Del resto Sala ha dovuto difendersi da accuse di essere un “ecologista di facciata”, per due tigli, nonostante i 400 mila alberi piantati nella Citta metropolitana. E una mediazione persino più difficile di quella per decidere della bandiera israeliana da esporre a palazzo Marino, lunedì: con Beppe Sala e Barberis a dover mediare con la sinistra radicale filo palestinese. E’ significativo che, mesi fa, Sala avesse sbottato proprio su questo tema simbolico: decidete se avete più a cuore la Resistenza o gli alberi. Fortunatamente più netta la posizione del presidente provinciale dell’Anpi Roberto Cenati: “Ho molto apprezzato la mediazione di Sala che ha consentito di evitare l’abbattimento di alcune piante. Anche per questo non condivido le posizioni di chi si è opposto alla realizzazione del Museo della Resistenza adducendo come argomento proprio la lesione del verde: sono esasperazioni inopportune che non capisco. Un’altra sede? Un discorso di questo tipo significa rinviare sine die un appuntamento che aspettiamo da 80 anni”.
 

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