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Scudetto e nuovo fondo, il Milan cambia il futuro a Milano

Fabio Massa

I rossoneri hanno vinto la Serie A e attendono l’acquisto di RedBird. Intanto è Paolo Scaroni a dettare la linea. La vera novità? Sullo stadio

"Rivoluzione silenziosa”, la chiama Paolo Scaroni, presidente del Milan campione d’Italia e in via di passaggio proprietario, parlando lunedì con il direttore del Foglio Claudio Cerasa. Di certo, sul nuovo stadio, ci sono stati più silenzi (e incomprensioni) che parole, almeno fino a oggi. Ma la situazione andrà scaldandosi, ora che lo scudetto e la sua ricca dote finanziaria sono in cassaforte, e i rossoneri possono guardare al futuro che dovrebbe essere segnato a breve dall’arrivo di un nuovo proprietario, più votato, sembra, all’investimento. Ma una stella polare, per quanto riguarda il business, c’è e resterà. E Scaroni la individua in una serie di desiderata tra i quali – ovviamente – c’è anche il nuovo impianto annunciato da ormai tre ann. “Serve essere appetibili, serve muoversi da manager, serve rendersi conto delle proprie potenzialità, serve costruire stadi moderni, bellissimi, sempre pieni, bene illuminati”, dice Scaroni.

 

Tutto molto bello, eppure a Milano la partita dello stadio inizia davvero adesso. Perché Palazzo Marino ha (finalmente) individuato il coordinatore del “dibattito pubblico” sul destino del vecchio Meazza che si dovrà svolgere in Andrea Pillon, da trent’anni anima di Avventura Urbana Srl di Torino, che ha come mission sociale la “gestione di processi decisionali inclusivi in ambito ambientale, urbanistico e di trasformazioni dei territori, dello sviluppo locale e della localizzazione e realizzazione di infrastrutture e impianti sgraditi”. E’ la democrazia partercipativa, bellezza, e nmmno il business calcistico può farci niente. E dunque ecco la Gronda, ecco il GRA bis, la tangenziale di Lucca, l’Alta velocità Torino-Lione. Ed ecco il dibattito pubblico nel 2018 sulla riapertura dei Navigli, che tuttavia – e fortunatamente, prere prevalente tra i tecnici – non si è mai realizzata. Pillon era dato ampiamente come favorito, e quindi sarà lui a “coordinare” un dibattito che può essere di due tipi. Molto sotterraneo, addomesticato, e comunque – come ha detto Beppe Sala mille volte – non vincolante per le scelte dell’amministrazione. Oppure aperto, acceso magari, partecipato e pericolosissimo per il futuro dell’opera che – come dice Scaroni – non è un semplice accessorio per il futuro del calcio, ma uno dei pilastri della rivoluzione silenziosa.

 

Ma visto che i manager, e Sala è un manager così come lo è Scaroni, non hanno mai un solo piano, c’è un piano B per ogni ipotesi di lavoro, nella Milano dello sport business è tutto un fiorire di ipotesi. La prima: lo stadio si farà, come vogliono le squadre, a San Siro, alla fine del dibattito pubblico. La seconda: lo stadio si farà, per entrambe le squadre, ma a Sesto San Giovanni. Dove c’è più spazio, c’è una metropolitana (ironia della sorte, il cui servizio lo pagano i milanesi), c’è la possibilità di realizzare parcheggi e centri commerciali, non c’è alcuna necessità di dibattiti pubblici e – se verrà riconfermato il sindaco Roberto Di Stefano, leghista – c’è anche una amministrazione assai disponibile per non dire entusiasta. La terza: lo stadio si farà, ma solo per una squadra, ovvero il Milan. Opzione che non ci si sarebbe aspettati fino a qualche tempo fa, ma che con l’emergere di un’offerta per i rossoneri campioni d’Italia, il cui valore è stato ulteriormente accresciuto dallo scudetto, per cifre che si aggirano sul miliardo e 300 milioni di euro, adesso  è data addirittura come più probabile. Il Milan si fa il suo stadio “bellissimo, sempre pieno, bene illuminato”, a Sesto San Giovanni. E l’Inter? Vacilla, con una proprietà la cui prospettiva e strategia non pare chiarissima, tanto che anche tutta una serie di studi di fattibilità hanno ricevuto il via libera congiunto da Milan e Inter con assai poco tempismo. E dunque la squadra nerazzurra potrebbe rimanere al Meazza (paradosso: era un’ipotesi di oltre un decennio fa) ma con tutte le incognite del caso.

 

Prima di tutto economiche: il vecchio stadio costa molto in manutenzione e gestione, e per far quadrare i conti bisognerebbe – riflette qualcuno – andare a recuperare il vecchio piano di “riempimento“ di ampie porzioni della struttura con strutture commerciali. Via difficile, però, perché anche su questo l’amministrazione dovrebbe esprimersi, e non sarebbe semplice. In questi giorni Gerry Cardinale del fondo RedBird è a Milano per concludere l’acquisto, ma se anche fossero gli americani a prendere il possesso della società – cosa che rende Paolo Scaroni più sicuro di rimanere al suo posto – non cambierebbe il punto: ad oggi, è sì fattibile una opzione solitaria per il Milan: ma per essere sviluppata a Sesto San Giovanni, sarebbe necessario attivare la “Legge stadi” che, nel caso di Milano, è avanti almeno di un paio di passaggi amministrativi di non poco conto. Atti costosi e lunghi (non tanto quanto una variante, che “cuberebbe” un anno e mezzo di attesa), ma che tengono la città di Milano ancora in gioco in un’azione che altrimenti l’avrebbe già vista da tempo in offside, a tutto vantaggio dell’ex Stalingrado d’Italia. 

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