ANSA/MOURAD BALTI TOUATI 

Gran Milano

Bergamo con Brescia, una nuova potenza bussa ai confini

Daniele Bonecchi

Due territori sempre più ricchi e cruciali e che vogliono pesare anche in politica. Tra aziende, sindaci ed elezioni

Se Milano parla la lingua della rigenerazione urbana, verso est, lungo l’asse Bergamo-Brescia si va consolidando un polo industriale importante: su un territorio con una straordinaria attrattività e che da qualche tempo non nascone più le sue forti ambizioni, se non egemoniche, certo a un ruolo centrale di playmaker economico e politico del nord Italia. Del resto, i numeri e il posizionamento strategico-geografico parlano da soli. Le due città – colpite entrambe in modo feroce dalla prima fase della pandemia – si preparano alla grande occasione della ripresa economica, forti di un tessuto industriale radicato nelle valli (terra di conquista della Lega di Bossi, sarà interessante vedere se se quella di Salvini terrà botta, o se il sempre annunciato “nuovo Pd” riuscirà finalmente a radicarsi anche lontano dai due capoluoghi), accompagnato da una storia fatta di tradizioni e cultura che ha sempre trovato nel sistema produttivo alleati forti. Così le due città si sono rimboccate le maniche e alleate, e hanno dato vita a un grande progetto: “Brescia e Bergamo capitali italiane della cultura 2023”.

Nato attorno all’idea di consolidare il ruolo dell’asse dell’est per favorire il rilancio dell’economica, puntando anche sull’ospitalità, la bellezza, le potenzialità di un territorio che va dalle suggestioni di Bergamo Alta fino alle sponde bresciane del lago di Garda, schiudendosi a un territorio altrettanto ricco come il mantovano. A guidare la trasformazione da città di provincia in grande polo dello sviluppo ci sono due sindaci capaci e pragmatici come Giorgio Gori e Emilio Del Bono, appena rieletti con successo. Le due città riconoscono di appartenere a un grande territorio, popolato da eccellenze nel lavoro, nell’impresa, nella tecnologia ma anche nella solidarietà e nell’inclusione sociale. La loro sfida può minacciare, in competitività e attrattività, l’egemonia di Milano: città vetrina, capitale del made in Italy, dei saperi e della trasformazione green, ma ormai priva di una vera capacità produttiva industriale, che significa, anche, agganciata al territorio. Molti dei grandi gruppi dislocati nel capoluogo (Pirelli in testa) hanno ceduto il timone alla finanza cinese e americana. Lungo l’asse dell’est può prendere corpo un nuovo modello lombardo. Non c’è solo la solida tradizione del credito bresciano, con il nume tutelare di uomini come Nanni Bazoli, basta ricordare capitani come Alberto Bombassei di Brembo (ricavi netti ben oltre i 2 miliardi), che ha ideato il Kilometro Rosso, innovation district del territorio. Ma anche Marco Bonometti, già presidente di Confindustria Lombardia, 10 aziende in Italia e 6 nel resto del mondo.

Tra le imprese che hanno lasciato il segno sull’asse Brescia-Milano c’è ovviamente A2A, che proprio a Brescia ha “inventato” il teleriscaldamento e che ora con Renato Mazzoncini è divenuta una life company che aggrega e si occupa di energia, acqua, ambiente e detta le idee a Milano. All’orizzonte della Lombardia ci sono le elezioni regionali e con la giunta Fontana in affanno si aprono concrete possibilità per una rivincita del centrosinistra. Lo hanno capito subito i sindaci delle due città che hanno messo mano all’agenda della campagna elettorale. Giorgio Gori, concludendo il Festival Città Impresa ha ricordato che “Bergamo è da sempre territorio di manifattura, ma dopo l'emergenza Covid la nostra città vuol essere riconosciuta come simbolo della ripresa dalla pandemia. Lo deve ai suoi solidi fondamentali, ma anche grazie alla propria capacità di reazione, che ne fanno una delle province che stanno trainando la ripresa del paese”. Una ambizione di sistema, molto di più che una pura rivendicazione “dai territori”. Così l’iniziativa delle due città e dei due sindaci (espressioni di una sinistra riformista) si candida a lanciare la sfida alla Lega. Certo, nella lunga corsa al Pirellone molto dipenderà dal candidato che il centrosinistra metterà in campo ma né Gori (già bruciato nella contesa contro Fontana) né Del Bono sembrano particolarmente sensibili a immolarsi per un Pd che volesse imboccare definitivamente la strada indicata da Enrico Letta.

“Dopo la genuflessione a Fedez e il M5s nei socialisti europei manca solo Topolino nel pantheon della sinistra larga di Letta”, scherza ma non troppo un detrattore del segretario. Loro, i due sindaci che hanno un forte radicamento col mondo produttivo, non vedono nel loro futuro una liaison col partito di Conte. Del Bono, qualche giorno fa, interrogato sulla corsa al Pirellone, ha detto: “È una riflessione che va fatta per arrivare a questo appuntamento preparati, uniti e credo che questo lo possiamo fare, con una proposta “alternativa al governo della Regione Lombardia perché l’obiettivo su cui bisognerà lavorare sarà il buon governo delle città. In questo momento il toto nomi interessa poco, dobbiamo impostare l’approccio della campagna elettorale, lì si scioglie il nodo dei nomi. A iniziare dalla mobilità pubblica, fino alla sanità, al tema ambientale. Primavera-estate saranno il tempo giusto” per decidere il candidato. E, anche se Salvini venderà cara la pelle, quello di Del Bono è un nome di tutto rispetto.