Augusto Antonio Barbera (ansa)

editoriali

Perché Barbera alla presidenza della Consulta è una buona notizia

Redazione

Il nuovo presidente della Corte costituzionale ha sempre incarnato una visione riformista delle istituzioni, lontana dagli eccessi ideologici dei pretesi “difensori”, per i quali ogni possibile 

L’immagine stessa della Corte costituzionale è connaturale a quella di saggezza istituzionale e ponderazione nel prendere decisioni destinate non solo a conservare lo status quo, ma anche a incidere nella vita collettiva. L’elezione di Augusto Barbera a suo presidente – rimarrà in carica solo un anno, alla fine del 2024 scadrà il mandato della Corte – incarna al meglio questa immagine. Non solo per l’autorevolezza personale: professore emerito di Diritto costituzionale a Bologna, l’impegno parlamentare nel Pci e poi nel Pds dal 1976 al 1994, il ruolo di ministro dei Rapporti con il Parlamento nel governo Ciampi; ma anche perché Barbera ha sempre incarnato una visione riformista delle istituzioni, lontana dagli eccessi ideologici dei pretesi “difensori”, per i quali ogni possibile riforma equivale a un attentato alla democrazia, e dei fautori di un letteralismo forzato.

Molti lo hanno presentato come migliorista vicino a Giorgio Napolitano, che nel suo percorso anche di presidente aveva più volte indicato la necessità di riforme nel nome di una governabilità equilibrata. Barbera è sempre stato un fautore del maggioritaro, ha riflettuto sul premieranno come “alternativa” al presidenzialismo, è stato convinto componente delle Commissioni bicamerali per le riforme costituzionali. Lontano insomma dalle chiusure estremizzate di chi dipinge oggi il premierato come rischio “dell’uomo o della donna soli al comando”.

A proposito del timore ventilato dall’opposizione che la maggioranza voglia, tra un anno, forzare la mano sulle nomine della Corte, è stato chiaro: “Nessuno può occupare la Consulta”. Ma nemmeno i giudici possono “occuparla”: qualche anno fa, commentando una sentenza che era stata presa visibilmente a maggioranza ristretta, si era posto “una domanda vera”, se non fosse il caso di rendere più trasparente il sistema di voto e “di ammettere, come in tante altre Corti, almeno l’espressione delle opinioni dissenzienti?”. Difendere la Costituzione, senza trasformare la Consulta in fortezza dell’immobilità.

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