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l'editoriale dell'elefantino

Il realismo e il senso delle istituzioni: le virtù di Napolitano

Giuliano Ferrara

Erano il punto di intersezione del suo essere comunista e liberale. Camaleonte? La carriera dell’ex presidente è stata un pezzo di storia perché al contenuto della storia ha aderito passo dopo passo, cambiamento dopo cambiamento 

Il comunismo liberale di Giorgio Napolitano era una contraddizione in termini, il comunista non tollera il “travestimento” liberale e democratico del capitalismo e il liberale combatte come la peste il fondo totalitario dell’ideologia comunista, ma c’era un punto di intersezione, il realismo e il senso delle istituzioni. La parabola del compianto ex presidente della Repubblica si spiega così e solo così. Quello che il giudizio sgangherato della destra pubblicistica non afferra, quando parla di camaleontismo in morte di Napolitano, è appunto questo: la politica ha regole sue, può essere anche visione o prefigurazione ma non è mai utopia o anarchia, il potere non concede margini ambigui all’antipotere, e non è una questione di metodo ma di essenza dell’arte dello stato e del possibile. La carriera comunista e repubblicana dello statista morto venerdì scorso, dal soviettismo togliattiano al gradualismo riformista e europeista, dunque atlantista, è stata un pezzo di storia perché al contenuto della storia, che non ha senso né significato oltre sé stessa, ha aderito con inaudita e scabra pignoleria analitica, passo dopo passo, cambiamento dopo cambiamento. 

L’operazione Mario Monti non fu un colpo di stato contro Berlusconi, come era avvenuto anni prima con le trame del cattolico integralista Oscar Scalfaro, vero autore dell’unico ribaltone. Fu uno sbocco, una via d’uscita che il capo del governo e della coalizione sconfitta accettò in nome di un soprassalto, buono e sincero anche per lui, di realismo e di senso delle istituzioni, appunto. Berlusconi lo sapeva benissimo e ne parlava con i suoi pochissimi veri amici, mentre concedeva un tanto di mite anticipazione del trumpismo all’idea costitutiva della sua mitica invincibilità, riflesso comprensibile dopo una disfatta genuinamente politica. La irrituale stretta di mano in aula a Napolitano dopo un suo discorso di opposizione leale al primo governo Berlusconi era stata suggerita dal primo ex comunista in un governo repubblicano dal 1947, ma consigli e sconsigli il Cav. li accettava con spontaneità solo nel caso di una intima convinzione. E la sua allegria e energia leggendarie di uomo privato alla guida del governo, nel trionfo come nel naufragio, dal primo all’ultimo atto, ebbe in Napolitano un interlocutore istituzionale, non un boia. Come si vide quando qualche anno dopo fu proprio Napolitano rieletto, con il suo discorso più importante e forte, a riportare il partito di Berlusconi alla legittimità di governo tra gli strepiti della sinistra giustizialista, che poi non tardò a cercare di incastrarlo nelle sue trame intorno alla trattativa stato-mafia, perché il presidente e capo del Csm aveva scelto una realistica e istituzionale presa d’atto dell’impalatabilità repubblicana del partito forcaiolo degli Ingroia et similia. 

Tra le virtù di Napolitano c’è quella di lasciare, a parte gli aspetti umani di una lunga vecchiaia e di una testimonianza limpida di amore non rinnegato per la politica, un ricordo freddo e razionale di ciascuno dei suoi felicemente contraddittori passaggi di campo, ma non di stile, non di cultura. E’ stata una vicenda personale e pubblica in cui tutto si spiega, compresa la vena pedagogica di una personalità che ha passato la vita a imparare e assimilare il nuovo quadro che l’evoluzione storica gli metteva davanti. Il realismo e le istituzioni non sono macchine desideranti, non hanno il fascino dell’irrazionale e del nullismo, ma la destra di governo dovrebbe aspirare a desiderare di meno e a praticare di più le virtù indubitabili dello statista scomparso. Per quanto scommettano anche su un’identità e fissità che è lascito ideologico di una storia superata da sé stessa, sono camaleonti anche loro.

       

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.