il video

La rielezione di Napolitano nel 2013. "Io qui dopo una serie di guasti e irresponsabilità"

Il duro discorso di insediamento per il secondo mandato. "Non prevedevo di tornare in quest'aula per pronunciare un nuovo giuramento"

Redazione

Il 20 aprile 2013, visto lo stallo successivo alle elezioni politiche (nessuna delle coalizioni fu in grado di ottenere una vittoria netta, un risultato senza precedenti), un ampio schieramento trasversale del neo-eletto Parlamento chiese a Giorgio Napolitano la disponibilità a essere rieletto come presidente della Repubblica. Napolitano la concesse e venne riconfermato alla carica, alla sesta votazione, con 738 voti su 997 votanti dei 1.007 aventi diritto. Giorgio Napolitano è divenuto così il primo presidente, nella storia della Repubblica italiana, a essere eletto per un secondo mandato, oltre che il più anziano al momento dell'elezione nella storia repubblicana. La rielezione, per un secondo mandato del Presidente uscente non si era mai verificata nella storia della Repubblica, pur non essendo esclusa dal dettato costituzionale.

 

Per completare l'iter burocratico, nella mattinata del 22 aprile Napolitano sottoscrive l'atto di dimissioni anticipate dal suo primo settennato, da lui aperto il 15 maggio 2006; a seguito di ciò, lo stendardo presidenziale sul Palazzo del Quirinale viene temporaneamente ammainato. Alle 17 dello stesso giorno presta giuramento quale presidente rieletto, pronunciando il discorso innanzi al Parlamento in seduta comune. La cerimonia di insediamento è stata più sobria e più breve rispetto alla precedente. "Non mi sono sottratto a questa prova ma sapendo che quanto accaduto qui nei giorni scorsi ha rappresentato il punto di arrivo di una serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità": queste sono le parole severe di Napolitano. Diverse le sue stoccate ai partiti e i richiami alle forze politiche allora incapaci di trovare un nome per succedergli al Quirinale. Napolitano critica tanto "contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi", e insomma l'immobilismo di alcune forze politiche, quanto il populismo che "con facilità (ma anche con molta leggerezza)" ha cavalcato l'insoddisfazione e la protesta antipolitica, "alimentate e ingigantite da campagne di opinione demolitorie, da rappresentazioni unilaterali e indiscriminate in senso distruttivo del mondo dei politici, delle organizzazioni e delle istituzioni".

  

Nelle settimane seguenti, in un'intervista concessa a Eugenio Scalfari, dichiara di essere "stato quasi costretto ad accettare la candidatura a una rielezione o a una nuova elezione come presidente della Repubblica, essendo profondamente convinto di dover lasciare". Aggiunge poi che "abbiamo vissuto un momento terribile. Abbiamo assistito a qualcosa a cui non avevamo assistito [...]. Ho detto di sì per senso delle istituzioni. Ho ritenuto che si trattasse di salvaguardare la continuità istituzionale".

Il 23 aprile apre le consultazioni di rito volte alla formazione del nuovo governo, e il giorno successivo dà l'incarico a Enrico Letta di formare un suo esecutivo, ritenuto il primo "governo di larghe intese" nella storia repubblicana.

Di più su questi argomenti: