l'intervista

“Spetta allo stato, non ai giudici, stabilire se un paese è sicuro”. Parla il prof. Munari

Ermes Antonucci

"I provvedimenti dei tribunali di Catania e di Firenze non sono persuasivi", dice Francesco Munari, docente di Diritto dell’Unione europea all’Università di Genova. "I tempi di trattenimento previsti per i richiedenti asilo appaiono compatibili con quelli delle norme europee"

"Il diritto d’asilo non equivale al diritto di entrare nel territorio di un altro stato e di circolare. Tale diritto comporta un obbligo per gli stati di valutare richieste di protezione internazionale, ma l’ampiezza di questo obbligo è grandemente ridotta quando i richiedenti provengono da un paese terzo sicuro. E tale accertamento spetta al governo, secondo quanto previsto (anche) dal diritto Ue”. Con queste parole Francesco Munari, professore ordinario di Diritto dell’Unione europea all’Università di Genova, partner di Deloitte Legal, commenta con il Foglio le polemiche nate in seguito alle decisioni dei tribunali di Catania e di Firenze di non convalidare il trattenimento di diversi migranti giunti dalla Tunisia, ritenendo le disposizioni del decreto Cutro incompatibili con il diritto europeo e spingendosi a definire la Tunisia “paese non sicuro”.

 

“Quando un paese è ritenuto sicuro – spiega Munari – le stesse norme europee consentono di dichiarare inammissibile una richiesta di asilo. Chiaro che, ove si adducano fatti straordinari, essi devono essere valutati, innanzitutto dalle autorità competenti, come il questore; se ciò non avviene è doveroso che il provvedimento sia sindacato dal giudice. Ma la valutazione se la Tunisia sia paese terzo sicuro è fatta esclusivamente dal governo sulla base di elementi conoscitivi che, con tutto il rispetto, nessuna persona singola può avere, perché riguardano la condizione complessiva del paese, la sua situazione politica interna, insomma informazioni qualificate che sono precisamente indicate anche nelle direttive europee e presuppongono livelli di conoscenza non necessariamente di dominio pubblico o suscettibili di interpretazioni soggettive”. 

 

“Premesso che dividersi in fazioni su un tema complesso come le migrazioni fa solo molto male a tutti, all’Italia in particolare, sul piano tecnico-giuridico ritengo che i provvedimenti dei tribunali di Catania e di Firenze non siano persuasivi”, afferma Munari. “Innanzitutto, i tempi del trattenimento previsti dall’attuale normativa per i richiedenti asilo appaiono compatibili con quelli delle stesse norme europee che si pretendono di applicare disapplicando il diritto interno. Periodi di diverse settimane sono la prassi generalizzata degli stati Ue. Non è neppure in discussione il fatto che nessuno stato europeo, incluso quello italiano, è contento di incidere senza motivo sulla libertà personale di qualunque individuo. Detto questo, da mesi vi è un flusso di migranti molto consistente, ed è necessario comprendere che, pur con tutti gli sforzi messi in campo, ci sono tempi tecnici per valutare le richieste d’asilo. Non credo si possa pretendere che le richieste, ove non evase nel giro di pochi giorni, impediscano allo stato di trattenere un migrante richiedente asilo. Principi di leale collaborazione tra i diversi poteri dello stato dovrebbero suggerire maggiore cautela prima di frustrare la pretesa dello stato di controllare i propri confini”.

 

“Una cosa è disapplicare il provvedimento del questore ritenendolo carente di motivazioni, altra cosa è spingersi a valutare complessivamente se le norme del decreto Cutro siano compatibili con quelle europee, giungendo alla loro disapplicazione. Valutazioni di così ampia portata potenziale devono avvenire nel contesto di una leale collaborazione, questa volta tra Unione e stato italiano in tutte le sue articolazioni: i giudici degli stati sono tenuti a garantire l’applicazione del diritto europeo; se un giudice ritiene che l’Italia abbia mal recepito le direttive, può richiedere un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. Sarà la Corte a pronunciarsi in poche settimane e in questo modo si avrà una valutazione erga omnes, applicabile in tutti i casi”.

 

“Insomma, i giudici possono (e anzi debbono) utilizzare strumenti che possano essere davvero utili a tutti nella risoluzione di questioni complesse. Diversamente, il loro lavoro rischia di essere interpretato come una contrapposizione interna ai poteri dello stato. Così si crea soltanto un pasticcio, che non fa bene all’Italia, specie nei rapporti con gli altri paesi europei. La politica italiana sull’immigrazione non può dipendere, caso per caso, dalle sensibilità individuali di chi si occupa di una richiesta di trattenimento o di rimpatrio”, conclude Munari.

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