una rassegna

Le promesse non mantenute da Nordio sulle toghe fuori ruolo

Ermes Antonucci

“Sono favorevole a una forte riduzione dei magistrati fuori-ruolo", disse l'ex giudice prima di diventare ministro della Giustizia. Nominato Guardasigilli, le sue decisioni sono andate esattamente nella direzione opposta

“Sono favorevole a una forte riduzione dei magistrati fuori-ruolo: credo che dei 200 attualmente distaccati ne basti solo il 10 per cento, gli altri dovrebbero tornare a lavorare nei tribunali”. Con queste parole, rilasciate in un’intervista al Riformista il 15 febbraio 2022, Carlo Nordio si esprimeva con chiarezza sul tema del collocamento fuori ruolo dei magistrati, da tempo oggetto di critica per i condizionamenti esercitati dalle toghe all’interno delle strutture vitali del governo. E’ trascorso un anno e mezzo da quelle dichiarazioni, Nordio nel frattempo è diventato Guardasigilli e, al contrario di quanto ci si potesse aspettare, il ministero di Via Arenula è diventato sempre di più terra di conquista delle toghe fuori ruolo, con la partecipazione attiva proprio del nuovo ministro.

 

E’ stato Nordio, infatti, a nominare i nuovi vertici del dicastero, pescando proprio tra i magistrati, andando così nella direzione opposta rispetto a quella indicata prima di diventare ministro. Provengono dalla magistratura: capo e vicecapo di gabinetto (Alberto Rizzo e Giusi Bartolozzi), capo dell’ufficio legislativo (Antonello Mura), capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Giovanni Russo), capo del Dipartimento degli affari di giustizia (Luigi Birritteri), vicecapo del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria (Rosa Patrizia Sinisi). Ciò che al massimo si può attribuire a Nordio è la tendenza a scegliere magistrati di estrazione più conservatrice dei precedenti, ma sembra veramente ben poca cosa per un ministro che su questo ambito aveva annunciato cambi radicali. 

 

Non è tutto, perché lo stesso Nordio ha nominato una Commissione di studio per la riforma del processo penale composta da ventinove magistrati, nove avvocati e quattro professori. Sempre Nordio ha nominato i membri della commissione ministeriale incaricata di elaborare i decreti attuativi della riforma dell’ordinamento giudiziario. Anche qui lo squilibrio è evidente: ne fanno parte diciotto magistrati, di cui dieci fuori ruolo, cinque docenti e tre avvocati. Proprio questa commissione, strapiena di toghe, ha stabilito nelle bozze dei decreti attuativi che il limite massimo di magistrati ordinari collocati fuori ruolo sarà ridotto da 200 a 180. Venti toghe in meno: un taglio risibile. E menomale che – usando le parole di Nordio – all’esecutivo basterebbero venti magistrati per funzionare senza problemi. 

 

Le toghe che compongono le commissioni ministeriali, come spesso accade, stanno ormai facendo un po’ quello che vogliono. Così, quelli incaricati di occuparsi dei decreti attuativi della riforma dell’ordinamento giudiziario hanno deciso di escludere gli attuali magistrati fuori ruolo (cioè loro stessi) dalla nuova disciplina che prevede il divieto di essere ricollocati fuori ruolo se non sono trascorsi almeno tre anni dal precedente collocamento. Insomma, i magistrati se la cantano e se la suonano. Alla faccia del ministro Nordio (che si difende richiamando le difficoltà di mettere sotto contratto professionisti esterni all’ordine giudiziario, e che quindi non riceveranno un doppio stipendio come i magistrati), ma soprattutto del Parlamento. 

 

Lo scorso dicembre la maggioranza di centrodestra ha infatti votato alla Camera in favore di un ordine del giorno presentato dal Terzo polo che impegnava il governo “ad operare una significativa riduzione del numero di magistrati fuori ruolo presso il ministero della Giustizia, con particolare riferimento a quelli che svolgono funzioni amministrative e alle posizioni per le quali non è tassativamente richiesta dalla legge la qualifica di magistrato”. Nessuno, a parte gli esponenti del “Terzo polo”, come il sempre attento Enrico Costa (Azione), sembra ora ricordarsene. 

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