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Editoriali

Di Matteo, censurato o censore?

Redazione

Altro che “messa al bando” del pm. Il pluralismo va rivendicato per tutti

Il pm Nino Di Matteo, che si sente vittima di una “campagna denigratoria” di questo giornale, ha criticato un’intervista apparsa sul Foglio al professore di Diritto penale dell’Università di Palermo Costantino Visconti che, parlando della necessità di raccontare i successi dello stato su Cosa nostra, ha detto: “Fino a quando nelle scuole si continueranno a invitare Saverio Lodato e Nino Di Matteo, che dicono che lo stato è marcio, si darà un messaggio diverso alle nuove generazioni”. Il pm della fu Trattativa ha gridato alla censura: “Resta – ha detto – la preoccupazione per il fatto che un docente di un ateneo, che è punto di riferimento culturale di migliaia di giovani, possa pretendere di indicare chi può confrontarsi con gli studenti e chi, invece, debba essere messo al bando”.

Premettendo che quello di Visconti era un invito a diffondere una narrazione diversa dell’antimafia e non una “messa al bando”, per il semplice fatto che il giurista non ha alcun potere sulle scuole, è piacevole notare l’afflato a favore del pluralismo del magistrato. Perché fino a poco tempo fa Di Matteo era il pm che definiva “cattivi maestri” due insigni studiosi come Giovanni Fiandaca e Salvatore Lupo, per il semplice fatto che nel libro “La mafia non ha vinto” sostenevano una tesi diversa dalla sua sulla cosiddetta Trattativa stato-mafia. In tv Saverio Lodato, co-autore di Di Matteo, in presenza del pm e senza contraddittorio, bollò il giurista  e lo storico  come esponenti della “borghesia mafiosa”. Per giunta quando   Lupo e Fiandaca  vennero invitati a tenere  lezioni alla Scuola superiore della magistratura, Di Matteo scrisse una piccata mail  ai suoi colleghi per protestare contro l’invito a chi aveva “espresso giudizi fortemente critici nei confronti dell’impianto accusatorio” delle sue inchieste. Sorvolando sul fatto che alla fine le sentenze hanno dato torto a lui e ragione a loro, in quel caso Di Matteo aveva un’influenza sugli organizzatori e quindi la sua sì era una richiesta di “messo al bando” delle voci critiche.

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