la ricostruzione

Un fatto è certo nelle indagini su Santanchè: la violazione del segreto. Qualcuno ne risponderà?

Ermes Antonucci

La notizia dell'indagine nei confronti della ministra del Turismo fu pubblicata grazie a una spifferata ai giornalisti da parte della procura di Milano o della polizia giudiziaria che agiva su disposizione dei pm

Un dato è emerso con chiarezza dal complicato caso Santanchè, e tocca direttamente lo stato (pietoso) delle libertà fondamentali nel nostro paese: quando il 2 novembre scorso alcuni giornali – come il Corriere della Sera e Repubblica – pubblicarono la notizia secondo cui la ministra del Turismo era indagata per la gestione delle sue aziende, ci fu una palese violazione del segreto investigativo. All’epoca, infatti, Santanchè era indagata in gran segreto, grazie a una norma del codice di procedura penale (l’art. 335) che consente al pm di ritardare, in caso di indagini complesse, la comunicazione dell’iscrizione sul registro degli indagati per massimo 90 giorni. 

 

Insomma, a novembre non fu notificato a Santanchè nessun avviso di garanzia, l’atto che solitamente giustifica la pubblicazione da parte degli organi di informazione della notizia sull’esistenza di un’indagine. La notizia che fosse indagata fu dunque pubblicata grazie a una spifferata ai giornalisti da parte della procura di Milano o della polizia giudiziaria che agiva su disposizione dei pm (il procuratore Roberto Fontana, poi eletto al Csm, e Maria Gravina). Che questo fu l’andamento degli eventi è stato confermato oggi dai quotidiani interessati, i quali hanno precisato che solo lo scorso marzo Santanchè è stata informata delle indagini a suo carico, in virtù della necessaria proroga delle indagini da parte del giudice. 

 

E insomma, ci risiamo: un’importante esponente del governo è stata indagata in gran segreto per oltre otto mesi dalla magistratura e l’unica cosa che il sistema dell’informazione è stato in grado di fare è violare il segreto investigativo, dando vita all’ennesimo cortocircuito mediatico-giudiziario

 

“Le accuse che vengono mosse alla senatrice Santanchè sono tutte da dimostrare. Purtroppo, invece, che sia stato commesso il reato di violazione del segreto istruttorio è un dato oggettivo”, dice al Foglio Alberto Balboni, senatore di Fratelli d’Italia. “Credo – aggiunge Balboni – che debba essere la stessa magistratura ad aprire un fascicolo, perché il reato è procedibile d’ufficio. Quindi speriamo che i pm trasmettano gli atti alla procura competente, perché il reato potrebbe essere stato commesso anche da un appartenente alla magistratura o da strettissimi collaboratori, visto che il procedimento era secretato”. 

 

E se ciò non avvenisse? “Io sono convinto che avverrà”, risponde il senatore di FdI. “Se non avvenisse ci sarebbe una violazione della Costituzione, che dice che l’azione obbligatoria è obbligatoria”. “La notizia di reato è acclarata, quindi la procedura dovrebbe essere automatica. Sono convinto che un magistrato si attiverà. Ci sarà pure un magistrato a Berlino, oppure a Brescia, che ha competenza sui magistrati di Milano”, conclude Balboni.

 

L’esigenza di fare chiarezza su una dinamica giudiziaria piuttosto misteriosa è stata evidenziata anche dal senatore di Forza Italia, Pierantonio Zanettin, nel dibattito seguìto all’informativa del ministro Santanchè. “Dobbiamo porci qualche domanda e io credo che su questo anche la procura di Milano, alla quale va la nostra fiducia, per carità, debba fare indagini e accertamenti. Non è ammissibile infatti che un’indagine secretata poi debba filtrare ad horas in funzione del dibattito parlamentare all’ordine del giorno in Senato”, ha dichiarato Zanettin, riferendosi alla pubblicazione della notizia sull’esistenza di un’indagine nei confronti di Santanchè, stavolta sul quotidiano Domani. “Questa non è politica, ma barbarie, populismo giudiziario, giustizialismo manettaro”, ha aggiunto Zanettin. 

 

La vicenda della violazione del segreto investigativo non richiama all’attenzione soltanto la magistratura milanese. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, impegnato in questi giorni a Tokyo per rappresentare l’Italia al G7 dei ministri della Giustizia, una volta rientrato potrebbe infatti disporre l’invio di ispettori alla procura milanese. Anche la procura generale di Milano, retta da Francesca Nanni, potrebbe decidere di attivarsi, avendo tra i suoi compiti quello di vigilare sul corretto e uniforme esercizio dell’azione penale.