giustizia?

L'incredibile gogna post mortem contro Roberto Maroni

Ermes Antonucci

Il pm milanese Giovanni Polizzi deposita una requisitoria piena di giudizi moralisti contro l'ex governatore della Lombardia, nel frattempo scomparso e quindi incapace di difendersi. La rabbia del suo legale

Neanche la morte ha risparmiato Roberto Maroni dalla gogna giudiziaria. Giovedì scorso il tribunale di Milano ha assolto con formula piena Guido Bonomelli, ex direttore generale di Infrastrutture lombarde spa (Ilspa), accusato di induzione indebita e turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente in concorso con Maroni, morto il 22 novembre scorso, e per il quale è stata dichiarata l’estinzione del reato per morte dell’imputato. Secondo le indagini del pm milanese Giovanni Polizzi, l’ex governatore lombardo avrebbe fatto “pressioni”, tra novembre 2017 e marzo 2018, su Bonomelli perché fosse affidato un incarico all’architetto Giulia Capel Badino in Ilspa. 

 

Dopo la scomparsa di Maroni, il processo è ovviamente proseguito nei confronti del coimputato, ma il pm Giovanni Polizzi non ha voluto risparmiare Maroni da uno sputtanamento post mortem. Così, il 10 febbraio il pm ha depositato una memoria conclusiva, facendola valere come requisitoria, mica concentrandosi sulle presunte pressioni ricevute da Bonomelli da parte di Maroni, ma inserendo nel testo pagine e pagine di intercettazioni in cui si cerca di descrivere il tipo di rapporto tra Capel Badino e l’ex governatore. Non solo. Il pm non risparmia neanche commenti di discutibile gusto nei confronti di un soggetto ormai deceduto e incapace di difendersi. “Maroni ha del resto dimostrato essere uso alle richieste di affidare incarichi a donne a lui legate”, scrive per esempio Polizzi, anche se Maroni per accuse simili è stato assolto in Cassazione nel novembre 2020 (e ora di nuovo, seppur in modo postumo).  

 

“In un momento storico in cui si predica in ogni forma e declinazione l’inclusione e il diritto alla diversità penso sia doveroso ricordare che nessuno, e non certo la Costituzione italiana, ha mai investito i magistrati del pubblico ministero del ruolo di custode della morale comune”, dichiara al Foglio l’avvocato Domenico Aiello, legale di Maroni. “Penso sia veramente fuori da ogni contesto istituzionale di amministrazione della giustizia leggere di procedimenti e indagini fondate esclusivamente su diversità di vedute o rimproveri da bacchettoni dell’altrui comportamento, evidentemente privo di disvalore giuridico ma ad alto gradiente mediatico, quindi booster di carriera”, aggiunge Aiello. “Si continuano a sperperare risorse dello stato e a valutare carriere sulla base di parametri estranei alle norme penali. Forse è il caso di iniziare a valutare i risultati e i costi sociali di simili deviazioni”, conclude. 

 

Un altro fallimento giudiziario, comunque, per il magistrato Giovanni Polizzi, che ormai sembra abituato a veder crollare i propri castelli accusatori. Fu lui nel 2015 a lanciare la maxi inchiesta per corruzione, concussione e turbativa d’asta contro l’allora vicepresidente della regione Lombardia, Mario Mantovani, e altre nove persone, tra cui l’assessore al bilancio, il leghista Massimo Garavaglia, accusato di turbativa d’asta. Mantovani venne addirittura arrestato su richiesta del pm: trascorse un mese e mezzo in carcere e cinque mesi ai domiciliari. Sia Mantovani che Garavaglia sono poi stati assolti.

 

Fu sempre Giovanni Polizzi ad aprire nel novembre 2017 un nuovo filone di indagine contro Mantovani con l’accusa di peculato. La Guardia di Finanza arrivò a sequestrare beni per oltre 1,3 milioni di euro. Lo scorso luglio anche questo processo si è concluso con l’assoluzione di Mantovani, per il quale Polizzi aveva chiesto la condanna a due anni e mezzo di carcere. Tutto ciò con un dispiego di risorse per lo svolgimento delle indagini senza pari. “Sono stato intercettato per quattro anni di fila – raccontò Mantovani dopo l’assoluzione nel primo filone – Oltre al classico ricorso alle intercettazioni telefoniche i finanzieri dotarono le loro auto sotto copertura con cui mi pedinavano tutti i giorni di microfoni spia e telecamere ad infrarossi, inserite nei fari, per non perdere nemmeno un mio labiale”.

 

Lo scorso giugno, Polizzi ha aperto un’altra indagine contro un esponente di centrodestra, l’europarlamentare di Fratelli d’Italia Carlo Fidanza, accusandolo di corruzione. Secondo il magistrato, Fidanza avrebbe fatto dimettere un consigliere comunale di Brescia in cambio dell’assunzione del figlio diciottenne presso la propria segreteria politica con il ruolo di assistente. Le dimissioni avevano consentito in questo modo di far entrare in consiglio comunale un fedelissimo dell’europarlamentare. Chissà se questa volta le accuse mosse da Polizzi reggeranno al giudizio.