La sentenza su via D'Amelio è il trionfo della dietrologia antimafia

Ermes Antonucci

Anziché cercare di capire come sia stato possibile che decine di magistrati abbiano abboccato ai depistaggi di Scarantino, i giudici di Caltanissetta alimentano lo storytelling della “strage di stato”

Giovedì non sono state depositate soltanto le motivazioni del “processo Bellini” relativo alla strage di Bologna (1.472 pagine in cui i giudici della Corte d’assise di Bologna si sono sbizzarriti attorno allo storytelling del “doppio stato”: da Moro all’omicidio di Piersanti Mattarella, da Ustica a Pecorelli, da Sindona a Pinelli), ma anche le motivazioni della sentenza del tribunale di Caltanissetta, emessa lo scorso luglio, sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. Anche in questo caso i giudici hanno dato sfogo a tutta la loro vocazione narrativa, vergando 1.434 pagine di motivazioni, anche qui lanciandosi in considerazioni che vanno ben oltre la valutazione della condotta degli imputati, cioè i tre ex poliziotti assolti dall’accusa di aver indottrinato il falso pentito Vincenzo Scarantino per depistare le indagini sulla strage costata la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta.

 

Anziché impiegare questa vena narrativa per cercare di capire come sia stato possibile che decine di magistrati abbiano abboccato alle bugie di un picciotto semianalfabeta come Scarantino (pm come Giovanni Tinebra, Ilda Boccassini, Carmelo Petralia, Gian Carlo Caselli, Nino Di Matteo e Annamaria Palma, e tutti i vari giudici che hanno avallato le tesi dei pm dal primo grado alla Cassazione), i giudici di Caltanissetta hanno rivolto la propria attenzione ai soggetti che si celerebbero dietro alla strage, finendo per alimentare lo storytelling della “strage di stato”.

 

Per i giudici tutto ruota attorno alla scomparsa della famosa agenda rossa di Borsellino nei momenti successivi alla strage del 19 luglio 1992 (sempre che l’agenda non sia andata distrutta a causa dell’attentato). “A meno di non ipotizzare scenari inverosimili di appartenenti a Cosa nostra che si aggirano in mezzo a decine di appartenenti alle forze dell’ordine, può ritenersi certo che la sparizione dell’agenda rossa non è riconducibile a una attività materiale di Cosa nostra”, scrivono i giudici, aggiungendo che da qui discenderebbero “due logiche conseguenze”.  Vediamole. In primo luogo, “l’appartenenza ‘istituzionale’ di chi ebbe a sottrarre materialmente l’agenda”: “Gli elementi in campo – scrivono le toghe – non consentono l’esatta individuazione della persona fisica che procedette all’asportazione dell’agenda senza cadere nella pletora delle alternative logicamente possibili, ma è indubbio che può essersi trattato solo di chi, per funzioni ricoperte, poteva intervenire indisturbato in quel determinato contesto spazio-temporale e, per conoscenze pregresse, sapeva cosa era necessario/opportuno sottrarre”.

 

Da ciò deriva la seconda conclusione: “Un intervento così invasivo, tempestivo (e purtroppo efficace) nell’eliminazione di un elemento probatorio così importante per ricostruire – non oggi, ma già 1992 – il movente dell’eccidio di via D’Amelio certifica la necessità per soggetti esterni a Cosa nostra di intervenire per ‘alterare’ il quadro delle investigazioni evitando che si potesse indagare efficacemente sulle matrici non mafiose della strage (che si aggiungono, come già detto a quella mafiosa) e, in ultima analisi, disvelare il loro coinvolgimento nella strage di via D’Amelio”.

 

Siamo di fronte a una scoperta incredibile per la storia italiana, riassumibile così: se l’agenda rossa di Borsellino non è stata ritrovata, allora è stata certamente prelevata da qualcuno dopo la strage; quel qualcuno non può che essere un rappresentante delle istituzioni; l’intervento così tempestivo di uomini delle istituzioni conferma che la strage non ha natura soltanto mafiosa, ma dietro si celano anche soggetti istituzionali, cioè appartenenti allo stato. Ecco confermato il teorema della “strage di stato”, tanto amato dall’antimafia mediatica ed editoriale. Il tutto grazie a semplici ragionamenti logici, mica prove. A saperlo che bastava così poco.