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C'è una soluzione al caso Cospito: un carcere duro alternativo al 41-bis

Guido Salvini

Spezzare i circoli viziosi spostando l’anarchico in un altro regime carcerario ad alta sicurezza: l’AS2. L'analisi del magistrato della procura di Milano

Per trovare una via d’uscita ragionevole dal caso di Alfredo Cospito, che riempie da settimane lo spazio sui giornali e ha causato uno scontro politico ai livelli più alti, una via d’uscita senza danni innanzitutto per la sua vita e nello stesso tempo per la credibilità delle istituzioni e della giustizia, bisogna innanzitutto comprendere il mondo di cui fa parte e che si muove intorno a lui, non solo in Italia. Per capirlo bisogna dimenticare tanto le organizzazioni terroristiche che abbiamo conosciuto, di estrazione marxista-leninista, con le loro basi, i militanti clandestini, i documenti programmatici ma anche l’anarchismo sociale, quello del ferroviere Pinelli ad esempio, che è stato sino all’inizio del ’900 una componente importante del movimento operaio. La progettualità della Federazione anarchica informale (Fai) non è una rivoluzione, che sostituirebbe un potere con un altro, ma la rivolta, la distruzione dell’intero esistente che si realizza con l’atto violento, quasi estetico e la gratificazione esistenziale che fornisce.

 

Un pensiero di stampo quasi nichilista, come riconosce lo stesso Cospito nelle sue interviste, che è soddisfatto dall’azione in sé che colpisce le presunte catene della società e della civilizzazione. Gruppi come le Brigate rosse sono scomparsi ma le azioni della Fai durano da vent’anni grazie alla forma liquida che ha tale mondo. Il primo attentato è stato nel 2003 contro Romano Prodi, allora presidente dell’Unione europea, poi altri obiettivi come le carceri, sedi di forze dell’ordine, azioni ambientaliste e antinucleari, compresi i fronti No Tav e No green pass, e contro sedi tecnologiche in genere spesso con pacchi bomba. Sono hacker dell’intera società, c’è una parentela con i luddisti che all’inizio dell’800 in Inghilterra distruggevano le macchine della prima rivoluzione industriale e c’è un’affinità con Unabomber, quello vero, Theodore Kaczynski, che sconta l’ergastolo negli Stati Uniti e che spediva anch’egli pacchi bomba e viveva isolato in un bosco per combattere ogni tipo di società industriale.

 

Per fortuna si tratta quasi sempre di azioni a bassa intensità e nell’arco di molti anni c’è stato solo un attentato diretto contro una persona, quello all’ing. Adinolfi e un grave attentato con esplosivo, quello alla caserma dei Carabinieri di Fossano, qualificato come strage anche se senza vittime e per il quale Cospito è stato condannato. Nella maggior parte dei casi per fortuna si tratta di azioni più di vandalismo che di terrorismo: incendi, raid nel centro delle città, danneggiamenti, scritte sui muri. In questo senso, a differenza dei tempi delle Brigate rosse che uccidevano e gambizzavano impunemente ogni mattina, non c’è una vera “emergenza anarchica” anche se le loro azioni sono per la verità imprevedibili e più impermeabili alle indagini della polizia e della magistratura.

 

La Fai non è un’organizzazione e gli autori degli attacchi, che pur agiscono in molti paesi, dall’Italia alla Grecia alla Svizzera alla Spagna al Sudamerica, non si conoscono nemmeno l’un l’altro. Si riconoscono solo attraverso le azioni stesse. Non sono neanche propriamente una rete, ma gruppi di affinità. Sono azioni che chiunque può riprodurre per poi scomparire senza forme di organizzazione. Per questo, le indagini sono molto più difficili rispetto a quelle sui gruppi terroristici tradizionali ed è problematico contestare reati come quello di banda armata. Il sistema di comunicazione e di azione della Fai non è quello delle consorterie brigatiste che pedinavano le vittime e nelle basi studiavano per mesi gli obiettivi. Ma è pura e semplice imitazione, con una comunicazione a distanza tramite le azioni come le api che comunicano tramite segnali chimici. Grazie a questa forma di non-organizzazione, Cospito, sfruttando la sua collocazione al 41-bis e soprattutto con il suo lungo e studiato digiuno, ha davvero raggiunto il suo obiettivo.

 

Mentre prima dello sciopero della fame i suoi messaggi, anche se si fosse trovato in carcere in regime ordinario e non al 41-bis, potevano raggiungere al più qualche migliaio di possibili adepti o imitatori, in queste ultime settimane hanno raggiunto milioni di persone in tutto il mondo, tanto è vero che la sua “lotta” è seguita giorno per giorno in tutta Europa, in Sudamerica e in altre parti del globo. Un successo veramente pieno anche per un dettaglio tecnico e criminologico. Infatti, alle organizzazioni criminali come la mafia serve far uscire, soprattutto dai capi che sono in carcere, indicazioni dettagliate sulla continuità della gestione del territorio, sull’investimento delle risorse finanziarie, sugli appalti e sui soggetti da avvicinare, sui rapporti di forza all’interno delle varie cosche. Un lavoro che, anche con eventuali pizzini, non è agevole. Ma per Alfredo Cospito il messaggio è semplicemente costituito dal suo corpo e per chi, anche senza conoscerlo, lo vede smagrito  nelle  fotografie sui giornali, questo è sufficiente per accendere l’azione.

 

E’ un circolo vizioso che va spezzato. C’è una via di uscita ragionevole prospettata anche dalla Direzione nazionale antimafia.  Quella, credo, e senza invadere le scelte altrui, della collocazione di Cospito in un circuito carcerario diverso dall’art. 41-bis ma comunque ad alta sicurezza in cui i suoi contatti siano monitorati. E’ il regime chiamato nell’ordinamento penitenziario As2 ed è proprio quello cui di regola sono assegnati i detenuti per reati di terrorismo. Una situazione carceraria che evita certe anche inutili restrizioni, ad esempio in tema di vitto e di accesso a libri e giornali, perché la detenzione deve essere dura rispetto alla possibilità di comunicare con potenziali associati ma non può essere inutilmente “dura” nella vita quotidiana.

 

Collocare Cospito in un “semplice” regime di alta sicurezza non costituirebbe un cedimento dello stato, soprattutto mantenendo nel contempo limitazioni e un attento monitoraggio dei contatti con l’esterno. Se si vuole si può disinnescare la mina, anche in attesa della decisione della Corte costituzionale che deciderà se la “strage politica” debba essere obbligatoriamente punita con l’ergastolo. Altrimenti vi è il rischio di arrivare facilmente prima o poi al dilemma se applicare o no l’alimentazione forzata quando l’anarchico fosse in pericolo di vita o di danni fisici irreversibili. Con le prevedibili conseguenze di più allargate e pericolose azioni di protesta e di nuovi scontri giudiziari, politici e istituzionali in merito alla liceità di un intervento simile.

 

Una prospettiva da evitare e non solo per il detenuto. Governo e opposizione, dopo le varie dichiarazioni in Aula, sono giunti al punto di scontrarsi aspramente, per la prima volta dopo l’insediamento del nuovo governo, non sui temi critici del paese ma sulla detenzione di Cospito.  Ma se si arrivasse alla decisione sull’alimentazione forzata o no di Cospito, le istituzioni potrebbero anche diventare ostaggio del detenuto perché dalla povertà dell’attuale classe dirigente ci sarebbe, in quel momento da aspettarsi anche di peggio di quanto abbiamo già visto. Speriamo davvero di non doverci arrivare.

l'autore è magistrato presso la procura di Milano

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