ANSA

Storia di una rissa grottesca

Il 41-bis (non) preso sul serio. Tutti umanitari ma nessuno tocca la norma

Maurizio Crippa

Più ci si avvicina alle date in cui si dovrà decidere sul carcere duro a Cospito, più l'unica cosa evidente è che per destra e sinistra non è importante migliorare uno strumento utile ma usato come arma di tortura (vero antimafia?)

Più si avvicina il 12 febbraio, data entro la quale il ministro di Giustizia deve rispondere all’istanza di revoca del 41-bis ad Alfredo Cospito; più si avvicina il 24 febbraio, data anticipata dalla Cassazione per l’udienza sulla revoca o meno del carcere duro, e più ci si allontana – nella rissa politica – da una pur basica cognizione dei fatti e dei temi. E cioè che l’affaire nasce da una maldestra forzatura politica da parte di esponenti di FdI (ora indaga la procura di Roma), che però a ben guardare è una reazione a un altrettanto maldestro tentativo politico di mettere sotto pressione il governo su un caso definito come umanitario, ma che non lo è. Una manna politica per l’anarchico-terrorista Cospito, che se la sta giocando con più intelligenza della sua controparte, “lo Stato” repressivo delle galere. Il tutto dentro a una confusione concettuale che rischia, per sovrappiù, di permettere a Cospito, che nemmeno ci pensava, di scardinare o indebolire un regime di detenzione come il 41-bis di cui invece rimane la necessità, in pochi e selezionati casi.


Spoiler: sosteniamo da sempre sul Foglio che vada profondamente rivista la norma. Sui social è ricomparsa una “Bordinline” pubblicata da questo giornale il 20 agosto 2016 in cui Massimo Bordin magistralmente spiegava le ragioni che avevano portato a una norma di “giusta prevenzione”, che però si era malamente involuta in una “afflizione gratuita” per il corpo e la mente dei detenuti, come il divieto di ricevere libri, che non ha senso. Nessuno qui fa il tifo per l’attuale 41-bis. Ma la domanda giusta sarebbe: come mai da oltre vent’anni, da quando è stato reso definitivo, il 41-bis è divenuto un totem sacrale, immodificabile? È molto semplice: perché quelle “afflizioni gratuite” sono state usate come “pressioni unicamente volte a ottenere confessioni”, scriveva Bordin. Cioè sono “tortura”. Il 41-bis è tale perché la cultura dell’antimafia, con la sponda della sinistra, lo ha utilizzato a questo scopo. Della destra, nemmeno a dire: lì la civiltà giuridica è buttare la chiave.

 

Allora l’altra domanda è: come s’è fatta trascinare, la politica, in questo pasticcio in cui tutti vogliono essere umanitari (anche Delmastro Delle Vedove, ieri) ma nessuno vuole toccare una norma che invece va ripulita? Ci si dimentica di dire che la protesta di Cospito non nasce in alcun modo contro il carcere duro, ma per la sentenza della Cassazione che ha confermato l’impianto dell’inchiesta Scripta manent della procura di Torino nella quale  la Fai-Fri (Federazione anarchica informale - Fronte rivoluzionario internazionale) è giudicata associazione con finalità di terrorismo ed eversione. Lo sciopero della fame di Cospito parte pochi giorni dopo, a ottobre, anche se il 41-bis era già inflitto da mesi. Quindi contro la sentenza che lo ha condannato riconoscendo la natura terroristica di  “una struttura stabile e organizzata, di respiro perfino internazionale”. In ballo non c’è il 41-bis.

 

E dunque, che i parlamentari di sinistra vadano a fare una visita umanitaria, è da elogiare; ma che ci vadano, con motivazione umanitaria, quelli come Andrea Orlando che lasciò morire al 41-bis Binnu Provenzano, ha una nuance un po’ bizzarra. Soprattutto è difficilmente scusabile che si siano fatti attirare nel trappolone di Cospito – che lotta contro le motivazioni di una legittima sentenza e non contro il carcere duro – semplicemente per montare una polemica contro il governo in cui sono costretti, con un certo imbarazzo, a contestare le proprie storiche posizioni da sempre più che favorevoli, nel rispetto della dogmatica dell’antimafia giudiziaria, al 41-bis e pure al suo uso distorto.

 

Non sapremmo dire se sia davvero in atto una “minaccia per lo stato”, come dice la premier Giorgia Meloni. Ma sul fatto che il carcere duro vada mantenuto sembrano tutti d’accordo, a partire dalla sinistra neo-umanitaria che grida allo scandalo. Il tutto rasenta il farsesco. Ieri Repubblica, “che ha potuto leggere la relazione” del Gruppo operativo mobile della Penitenziaria, raccontava un quadretto stravagante. Delmastro dice che i parlamentari in visita si sono “inchinati” alla mafia, ed è una menzogna indegna. Ma il  verbalizzante scrive che Cospito aveva esordito: “Non ho niente da dire se prima non parlate con gli altri detenuti, solo dopo avrò qualcosa da dire”. E che “a tale frase la delegazione si affacciava alla camera 25 dove c’è il detenuto al 41-bis Francesco Di Maio”, boss dei casalesi. Non proprio un passo di grande lucidità politica. Inoltre scrive Repubblica che “Cospito dimostra di sapere che cosa stia avvenendo fuori, le manifestazioni, i gesti dimostrativi”. Dunque, par di capire, al 41-bis la tv non la vede solo Messina Denaro. La domanda finale allora è o dovrebbe essere: questo carcere duro funziona, o no? La baruffa su una questione che non interessa né al governo né all’opposizione – la condizione delle carceri – potevano risparmiarcela.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"