giustizia

“Il trojan è un'arma incivile”: Nordio contro un altro totem dei forcaioli

Ermes Antonucci

Il Guardasigilli vuole limitare l’uso dei captatori informatici: “Ok solo per reati di mafia e terrorismo”. Al Senato già pronto un ddl di Zanettin (FI): “Il trojan si è dimostrato un modo per invadere la privacy del cittadino”

"Il trojan deve essere tolto, è un’arma incivile. Può essere usato come era all’inizio, e cioè in casi eccezionali di gravissima pericolosità nazionale, come mafia e terrorismo, ma per il resto no”. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, continua a bombardare i totem dei giustizialisti. Intervenendo ieri a “L’aria che tira” su La7, il Guardasigilli ha confermato la volontà di contrastare la “porcheria” della fuoriuscita di intercettazioni penalmente irrilevanti nel corso delle indagini. Poi si è espresso in favore di una limitazione del ricorso da parte dei pubblici ministeri ai trojan, cioè i captatori informatici inoculati nei pc e nei dispositivi mobili (come smartphone e tablet) delle persone indagate che, una volta attivati da remoto, consentono di acquisire tutte le conversazioni, le immagini e i messaggi, e di registrare tutto ciò che accade nel giro di diversi metri.

 

Un cavallo di troia, appunto, nella vita privata del cittadino, il cui impiego era stato inizialmente previsto solo per i reati di mafia e terrorismo. Nel 2019, la legge Spazzacorrotti voluta dal Guardasigilli M5s Alfonso Bonafede ha esteso l’ambito di utilizzo del trojan anche ai reati contro la Pubblica amministrazione con pene massime non inferiori a cinque anni.

 

Dopo la sbornia del populismo grillino, ora il ministro Nordio intende restringere l’ambito di applicazione di uno strumento così invasivo per la privacy delle persone. Un endorsement indiretto al disegno di legge depositato a Palazzo Madama dal senatore di Forza Italia, Pierantonio Zanettin. “Il trojan è lo strumento che più vìola la sfera di intimità dell’intercettato, con l’evidente rischio di una diversa destinazione d’uso atto a violare la privacy degli individui”, si legge nella relazione al ddl.

 

“Il trojan nella pratica si è dimostrato un modo per invadere la privacy del cittadino, portando a una chiara deviazione del fine che almeno astrattamente si prefigge”, spiega Zanettin al Foglio. “In diversi casi – prosegue – il trojan è stato usato sulla base di ipotesi di corruzione, poi la corruzione non è stata rintracciata e le intercettazioni che erano state ottenute sono state usate o per contestare altre fattispecie penali, o per motivi disciplinari o, nonostante fossero del tutto irrilevanti, per penalizzare alcuni magistrati nelle valutazioni di professionalità”.

 

Il riferimento di Zanettin è allo scandalo Palamara, nato appunto dall’utilizzo di un trojan. Le intercettazioni raccolte furono pubblicate sui giornali prima della fine delle indagini, determinando le dimissioni di ben sei consiglieri del Csm. In seguito sono emersi sospetti sul corretto uso del trojan in questione, che sarebbe stato oggetto di anomali spegnimenti e accensioni (sulla vicenda sono state aperte due indagini, a Napoli e a Firenze, delle quali però poi non si sono più avute notizie).

 

Alla vicenda si è riferito lo stesso Nordio, illustrando in Senato le sue linee programmatiche: “Credete che tutte le intercettazioni del trojan di Palamara siano state trascritte nella forma della perizia? Sono state selezionate, pilotate e diffuse secondo gli interessi di chi le diffondeva, e non sono ancora tutte state rese pubbliche”.

 

Intanto, dopo aver letto l’articolo del Foglio di ieri, in cui venivano riportate le dichiarazioni del presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, e del segretario della Federazione Nazionale della stampa, Raffaele Lorusso (“Le indagini non sono segrete”, “il giornalista deve pubblicare le notizie anche se sono segrete”), il senatore di Italia viva, Ivan Scalfarotto, ha deciso di predisporre un’interrogazione rivolta proprio a Nordio: “Affermare che le indagini non debbano rimanere segrete e che le notizie, anche se coperte da segreto, debbano essere comunque pubblicate non è solo contrario ai principi che ispirano la nostra Carta Costituzionale ma anche al codice di procedura penale”, ha affermato in una nota Scalfarotto, membro della commissione Giustizia a Palazzo Madama.

 

"La pesantezza e la gravità di queste dichiarazioni meritano un approfondimento e una presa di posizione da parte del ministro della Giustizia. Qui si parla di diritti basilari del cittadino: la presunzione di innocenza e la protezione dall’arbitrio dell’autorità statuale rappresentano l’essenza stessa dello stato liberale, non possiamo certamente pensare di tornare indietro”.

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