Foto Mauro Scrobogna /LaPresse

Centurione? Altro flop dei pm di Roma (tutti assolti dopo 9 anni)

Ermes Antonucci

"Giustizia è stata fatta, ma un processo così lungo è disumano e ha penalizzato la mia carriera", commenta al Foglio uno dei nove imputati dell'inchiesta. L'ennesimo caso di gogna mediatico-giudiziaria

Dopo nove anni sono stati tutti assolti gli imputati dell’“inchiesta Centurione”, che nel dicembre 2012 portò all’arresto di undici tra imprenditori e funzionari del ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali. Giovedì la Corte di appello di Roma, presieduta dal giudice Giancarlo De Cataldo, ha confermato la sentenza di primo grado e le sue motivazioni per non sussistenza del fatto, respingendo l’appello della procura in quanto inammissibile. Assolti definitivamente, quindi, tutti i nove imputati (altri due avevano già ottenuto l’archiviazione) che l’11 dicembre 2012 vennero arrestati con l’accusa di corruzione in relazione alla gestione di finanziamenti pubblici per 32 milioni di euro. Finirono in carcere il direttore generale del ministero ed ex capo di gabinetto dei ministri Galan e Zaia, Giuseppe Ambrosio, i dirigenti del ministero Stefania Ricciardi, Francesco Saverio Abate e Ludovico Gay, il dirigente della Confederazione italiana agricoltori Alfredo Bernardini e il funzionario del ministero Michele Mariani. Finirono agli arresti domiciliari gli imprenditori Maria Claudia Golinelli, Luigi Cardona e Oliviero Sorbini. A questi si aggiunsero il funzionario del ministero Luca Gaudiano e il direttore del Consorzio Parmigiano Reggiano Riccardo Deserti, poi archiviati.

 

Per annunciare i dettagli del terremoto giudiziario, i procuratori romani Nello Rossi e Stefano Rocco Fava organizzarono una conferenza stampa in pompa magna. L’inchiesta, giusto per rafforzare l’atmosfera cinematografica, venne denominata “Operazione Centurione”, dal soprannome di colui che veniva ritenuto il “dominus” della rete corruttiva, cioè Giuseppe Ambrosio. In conferenza stampa, il procuratore aggiunto Rossi parlò di “corruzione diffusa, variegata e circolare” e si spinse a definire il sistema di tangenti messo in piedi dai funzionari ministeriali, ancora tutto da dimostrare in sede processuale, “un piccolo trattato di sociologia della corruzione”. Gli organi di informazione, come sempre, diedero ampio risalto alla vicenda alimentando la gogna. “Ecco il ministero della corruzione”, titolò il Fatto quotidiano, mentre La Stampa parlò di “banda di corruttori”. Il gruppo di funzionari passò alla storia come “la cricca al ministero dell’Agricoltura”. A nove anni dagli arresti, il caso “Centurione” si chiude con l’assoluzione definitiva di tutti gli imputati, dopo un’assoluzione con formula piena in primo grado, varie archiviazioni per non aver commesso il fatto, tre sentenze della corte di Cassazione che hanno bocciato le misure cautelari non ravvisando nemmeno l’ipotesi di reato.

 

Sono già pronti i ricorsi per le richieste di danni, dell’ingiusta detenzione, per il risarcimento delle spese legali e per l’eccessiva durata del processo. Nel frattempo, però, tutto è cambiato, a partire dalla vita delle persone coinvolte. “Sono trascorsi nove anni e giustizia è stata fatta, ma il processo è di per sé una pena e un processo lungo nove anni è assolutamente disumano”, commenta al Foglio Ludovico Gay, difeso dall’avvocato Massimo Amoroso. A causa dell’inchiesta, Gay finì quattro mesi nel carcere di Regina Coeli. “Questa vicenda ha stravolto la mia vita da ogni punto di vista, non solo umano ma anche economico, ha penalizzato la mia carriera, mi ha impedito persino di partecipare a concorsi pubblici”. “In questi nove anni – aggiunge Gay – mi sono spesso sentito dire che ero una vittima della giustizia, ma in questi stessi anni ho maturato la convinzione che non esistono vittime della giustizia, bensì eroi. Siamo eroi noi che affrontiamo la malagiustizia e ne usciamo vivi. Ci sono magistrati che con superficialità, distrazione e forse anche cattiveria condannano al carcere preventivo, facendone anche pubblicità, persone che poi si rivelano innocenti”.

 

Nel frattempo, le cose sono cambiate anche per i magistrati che portarono avanti l’inchiesta. Nello Rossi, oggi avvocato generale in Cassazione, recentemente è intervenuto nel dibattito sul recepimento della direttiva sulla presunzione di innocenza e sull’inopportunità delle conferenze stampa dei pm. In un’intervista a Repubblica, ha richiamato il principio di non colpevolezza quale “cardine del nostro sistema penale”. Stefano Rocco Fava, oggi giudice civile a Latina, è stato coinvolto nello scandalo delle nomine in magistratura, e recentemente è stato rinviato a giudizio con l’ex pm (radiato) Luca Palamara con l’accusa di rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio, abuso d'ufficio e accesso abusivo a sistema informatico.
 

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